Page 30 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                  clusivi dal 31 al 33 furono redatte da Gadda nel campo di Rastatt dove rimase
                  internato fino al 2 marzo 1918, sulla base degli appunti presi nel vivo degli
                  avvenimenti. Trascorse poi gli ultimi mesi di guerra in un altro campo di pri-
                  gionia, a Celle, vicino ad Hannover, e rientrò finalmente a Milano nel gennaio
                  1919. Il contenuto del Taccuino, per sua espressa volontà, rimase inedito fin-
                  ché fu in vita e affidato in custodia al suo più caro amico, Alessandro Bonsan-
                  ti. Solo nel 1991 fu pubblicato per i tipi di Garzanti a cura di Sandra e Giorgio
                  Bonsanti e con note al testo di Dante Isella.

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                     La mia responsabilità, considerando ora i fatti, cessava ormai; io dovevo
                  considerarmi isolato nella solitudine: il ponte di Ternova era pure saltato, così
                  dicevano tutti. Meglio avrei fatto anche per il mio paese, a svignarmela per
                  conto mio e forse non sarei riuscito egualmente. Invece, sempre animato dallo
                  scrupoloso sentimento della responsabilità del dovere, radunai un’ultima volta
                  gli stanchi soldati. Essendomi stato detto da De Candido Cesare, l’armaiolo
                         a
                  della 3.  Sezione, che Cola aveva proseguito per Ternova, volli ad ogni costo
                  seguirlo. Ci volle del bello e del buono a muovere i soldati esausti e a farli
                  proseguire uno dietro l’altro, in riva al fiume per la boscaglia d’arbusti. Eppure
                  gridando e imponendomi energicamente ci riuscii. Misi in testa il Serg. Gan-
                  dola Giuseppe, e io mi misi in coda perché i soldati stanchi non gettassero i
                  nastri. Ricordo che cammin facendo trovai un nastro, senza invoglio, lasciato
                  da un soldato di Cola, e che me lo presi, sebbene fossi stanchissimo. Incontrai
                  un ufficiale d’artiglieria che recava un altro nastro di S. Etienne, evidentemente
                  raccolto dal terreno e lasciato da qualche nostro soldato, e me lo feci consegna-
                  re; (ricordi precisi, esattissimi) e lo feci portare a un soldato. Soldati e ufficiali
                  si movevano da ogni parte; chi scendeva e chi saliva; quelli che scendevano
                  dicevano che anche il ponte di Ternova era saltato: però non lo dicevano di
                  certa scienza, ma per sentito dire. (Era vero) Litigai con un sottotenente perché
                  m’assicurava che il ponte era saltato, senza averlo visto. Dopo tutto il poverac-
                  cio aveva ragione. Io speravo ancora, pensavo ancora alla salvezza.
                     La stanchezza istupidiva i soldati; bestemmiavano, si gettavano a terra;
                  giungemmo a un punto in cui le colline strapiombano nell’Isonzo con un salto
                  di roccia. Lì bisognò risalire l’erosione fluviale, fino sul ciglio: i soldati e io
                  stesso, che ero il meno carico, salivano lentissimi, vinti dalla fatica e già presi
                  dall’accasciamento. Qualcuno tentava rimaner dietro (ricordo quel grasso e
                  tondo Fiocchini). Ciò nonostante riuscii a portarli fin sul ciglio e a farli poi
                  proseguire, dopo una breve pausa. Il sentiero poco dopo passava lo strapiom-
                  bo mentovato; sopra di esso altre rocce.
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