Page 35 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia 33
Questi, urlando, gli impose l’obbedienza: agitava un bastone, ed era armato
di rivoltella. La pattuglia poi salì per dove già era salita tutta l’altra truppa: la
montagna doveva esserne piena. Dopo la pattuglia salivano altri soldati, coi
loro ufficiali. Ci guardavano curiosamente ma nessuno ci usò, lì, atti o parole
cattive. Avevano tutti l’elmetto da combattimento, largo come un cappello di
paglia, senza chiodo, a forma speciale:
Un sottotenente, curvo, magro, occhialuto come un
mercante ebreo, chiese a Cola in tedesco se vi fosse
molta truppa avanti. Avutone risposta (tradotta da De
Candido) che Cola non sapeva, salutò e se ne andò,
fischiando ai suoi.
Proseguimmo per Caporetto, incontrando qua e là
qualche avanzo di gente. Giunti al ponte, lo vedemmo sprofondato nel burrone
del fiume, insieme a due autocarri, con i quali era crollato. Il ponte crollato
interrompeva una fila di autocarri fermi, diretti verso Drezenca (!!!) La strada
stretta non consentì loro di voltarsi. Gli autocarri erano seviziati dalla violenza
dell’esplosione: v’erano anche trattrici cariche di casse varie. Presso il ponte
due cadaveri di chauffeurs, bocconi, con le vesti e le carni lacerate, enfiate,
chiazzate dalla putrefazione incipiente. E lì assi, cassette, rottami. Così mi ap-
a
parve la 2 volta il bellissimo ponte che, ammirando, valicai pochi giorni prima
con un soddisfacimento estetico e sentimentale intensissimo. L’Isonzo mug-
ghiava sotto; nel letto profondo. Poco avanti v’erano sparse sulla strada delle
cassette di ufficiali, dei viveri, delle botti, preda ormai dei tedeschi. Al bivio,
dove un ramo va a Caporetto, un altro prosegue a sinistra, costeggiando il fiu-
me, ci fermammo un momento. Un soldato nostro ubriaco spillava vino da una
botte aperta e il cui contenuto era in parte uscito ad arrossare il polverone della
strada. Soldati nostri si chiamavano al festino; non ostante gli urli e le minacce
delle sentinelle tedesche; dei tedeschi era ormai tutta quella roba. Perciò pregai
Sassella di riempirmi di vino la borraccia e ne bevvi avidamente alcuni sorsi.
Da cassette aperte io e Cola privi di tutto, prendemmo alcune maglie, una divi-
sa, delle fasce: lì vicino v’era un carro carico di oggetti di vestiario per truppa,
e un altro di viveri di riserva. Sebbene prevedessi la fame che avremmo patita,
preferii le vesti ai viveri. Feci male, ché quelle poi rimasero a Sassella mentre
i viveri li avremmo mangiati strada facendo. Ma ero istupidito. Disgraziata-
mente non pensai a riempirmi di galletta e di viveri. Quanta atroce fame ora
soffro. Il soldato mio Gobbi, bravissimo, e che s’era comportato benone, mi
diede una giubba, trovata lì nella strada. La presi, perché ormai tutto ciò non
era che preda tedesca, ma non me ne servii mai, poiché rimase col mio sacco
a Sassella.
Proseguimmo e attraversammo la parte sinistra di Caporetto, nel dolce te-