Page 39 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia 37
dobbiamo cooperare per scacciare il nemico. Ma arrivano le sei e non si vede
nulla.
Il duello delle mitragliatrici e dei fucili continua ininterrotto.
Per tutta la vallata verso l’Isonzo i residui della Brigata Napoli, dispersi e
accerchiati, si difendono alla meglio; vediamo col cannocchiale, sotto di noi,
dei reparti che tentano di rompere il cerchio, in cui si trovano. Inutilmente: le
mitragliatrici nemiche sono dovunque, invisibili, implacabili come il nostro
destino. Scorgo laggiù una caverna: degli uomini cercano di irrompere e sono
falciati, sul limitare, dal fuoco bloccato di due mitragliatrici; gli altri, rientrano
in fretta.
Verso le sette, alla mia destra, dei soldati miei improvvisamente scattano,
imbracciano il fucile, si muovono: e suona un grido altissimo: «Ragazzi, viva
l’Italia! Siamo uomini, non femmine! Avanti, Savoia».
È un giovane Aspirante mitragliere del II° Battaglione, certo Pugliesi. Mi
passa vicino, correndo; gli uomini miei lo seguono e saltan fuori dal cammi-
namento incontro alla vetta di Monte Piatto, dove una mitragliatrice nemica è
stata colpita, dove una maglia del cerchio nemico si è infranta. Raccolgo altri
uomini e mi butto avanti anch’io, appoggiandomi a un bastone alpino.
Avanti: una ventina di passi di corsa sull’erba folta, con i miei uomini in
catena intorno a me; cinque metri più in alto sale l’altra ondata con Pugliesi;
dietro a me indovino altri uomini.
Avanti! È la liberazione dal terribile incubo, è il momento di spazzare la
vetta dal nemico, di rompere l’aggiramento. Avanti! Il sole splende sul cerulo
orizzonte; io sento dentro di me cantare l’inno della vittoria, fuggire l’orrida
paura, la paura di cader prigioniero. E intorno a noi, come per incanto, si è
fatto silenzio, un silenzio apparentemente augurale. Invece...
Due, tre, quattro, cinque, sei mitragliatrici, come disposte intorno a noi a
semicerchio, si svegliano; rovesciano sul breve spiazzo, nel quale corriamo,
le loro falci mobili, sibilanti. Un urlo metallico, in tono minore, rintrona alle
mie orecchie, fischia tra le erbe, striscia sull’elmetto, lungo le gambe. La pri-
ma ondata si arresta un istante, poi si rovescia, immobile. Ci gettiamo a terra;
davanti a me, Pugliesi e il suo attendente, riversi, guardano verso le creste coi
grandi occhi spalancati. La falce li ha colpiti a quattro passi dalla preda, dalla
mitragliatrice smontata e abbandonata.
Pugliesi ha ancora il braccio in alto, contro l’omero, e la rivoltella in pugno.
Sopra di noi si stende, fischiando e urlando, l’arco mobile della mitraglia.
E la gragnuola ci passa sopra, a non più di dieci centimetri, ci lambisce gli
elmetti, gli abiti.
La tempesta dura un quarto d’ora; e noi restiamo immobili, la faccia, le
mani, il corpo contro terra.