Page 43 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia  41

                      L’agonia  mortale  continua;  qualche
                    pallottola  comincia  a  prendere  d’infilata
                    le nostre trappole.
                      Che si fa? Che si fa?
                      Alle 15.15 si ode un urlo lungo la li-
                    nea: a sinistra un centinaio d’uomini del
                    III° Battaglione salta fuori dalla trincea, a
                    mani levate. È la resa.
                      I soldati ci guardano dubbiosi, esitanti.
                    Io stesso guardo il mio Comandante. Gli
                    dico:
                      «Tentiamo,  tentiamo!  Io  conosco  la
                    strada».
                      Pompizii è terreo, fosco, con gli occhi
                    umidi. Trema, vorrebbe piangere.
                      «No, Sironi, non possiamo. Gli ordini,
                    capisci. Piuttosto prigionieri che retroce-
                    dere d’un passo».
                      Gli dico che le circostanze sono mutate; gli mostro col cannocchiale le
                    truppe nemiche, dietro a noi, ormai a più di quattro, di cinque km in marcia
                    verso Clodic. Egli scuote la testa.
                      «Non si può, non si può!»
                       Questo soldato, che aveva fatto la guerra sotto S. Lucia, a Plava, a M.
                    Letnerle, sull’Ortigara, sul Faiti, sul S. Gabriele, ha degli ordini precisi e non
                    sa disobbedire.
                      Abituato alla guerra di trincea, non vede che occorre manovrare; se anche
                    lo vede, si sente arrestato dagli ordini dati da un generale, il quale, ora, non
                    sa, non vede.
                      E, poiché io insisto forte davanti ai soldati, egli, cosi buono, mi dice:
                      «Tenente, vai al tuo posto e attendi gli ordini».
                      Chino il capo e saluto.
                      Dieci minuti dopo, cessa la fucileria; gli uomini si staccano il cinturino,
                    appoggiano il fucile alla feritoia e si avviano. «Che fate?» grido.
                      «Che vuole, Sig. Tenente? Non vede? Siamo prigionieri».
                      Sono le 15.40. Sotto di noi una nostra mitragliatrice fulmina in pieno un
                    reparto nemico, che ordinatamente scende dal Kovacic; lo scompiglia. Ma i
                    nemici manovrano come in piazza d’armi.
                      Distruggo gli ordini che ho in tasca; e restiamo in trincea, soli, io e il mio
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