Page 36 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                  pore autunnale. Le case qua e là erano già occupate da tedeschi che v’instal-
                  lavano uffici, ecc. Giravano ancora dei borghesi, a far preda. Soldati tedeschi
                  e nostri, parecchi ubriachi sia degli uni sia degli altri, i primi armati, gli altri
                  no, giravano nelle vie. Incontrammo anche numerose automobili; alcune di
                  Comandi nostri già prese e messe in servizio dai tedeschi; e automobili di
                  fabbrica tedesche, porta ordini, motociclisti ecc. La truppa, come seppimo, era
                  già in piena avanzata verso Cividale, e questa fu per me una nuova pugnalata
                  nel cuore, sebbene sperassi che Cadorna riuscisse a colmare la breccia e a
                  respingerli all’Isonzo.
                     All’entrata del paese, e anche nelle case, muli morti e cadaveri (uno d’un
                  ufficiale in una casa) asfissiati gli uni e gli altri: qualcuno in atto di estrarre la
                  maschera. Nei prati pozze di granate, (ricordo una da 305) ma in complesso
                  non come a Magnaboschi, e tanto meno sul Faiti. Gli è che quelle granate
                  arrivarono addosso a gente non avvezza (chauffeurs, borghesi, comandi) e ca-
                  riche di gas asfissianti, producendo più panico che danno. Due cocottes piene
                  di sifilide e di sguaiato servilismo pregarono De Candido di raccomandarle a
                  ufficiali tedeschi. Cola e lui chiesero quale fosse la loro sorte e si fermarono
                  a chiacchierare: io impaziente feci loro premura e proseguimmo. Ricordo le
                  sfacciate parole della più piccola delle due svergognate «Per noi italiani o te-
                  deschi fanno lo stesso!», dette con allegria. A un nuovo bivio, dove un ramo di
                  strada prosegue per Tolmino, l’altro per Cividale, ebbimo l’ultimo desiderio e
                  tentativo di fuga. Ci fermammo un momento e io feci la proposta: dobbiamo
                  prendere per Cividale? I compagni non la trovarono attuabile: la tema delle
                  sevizie tedesche contro noi quattro inermi valse pure a farci desistere. E poi
                  la sentinella sopraggiungeva. Avanti, allora, verso Tolmino. Io, Cola, Sassella,
                  De Candido.
                     Finiva così la nostra vita di soldati e di bravi soldati, finivano i sogni più
                  belli, le speranze più generose dell’adolescenza: con la visione della patria
                  straziata, con la nostra vergogna di vinti iniziammo il calvario della dura pri-
                  gionia, della fame, dei maltrattamenti, della miseria, del sudiciume. Ma ciò fa
                  parte di un altro capitolo della mia povera vita, e questo martirio non ha alcun
                  interesse per gli altri.
                  Finito di scrivere il 10 dicembre 1917 in Rastatt.


                          Carlo Emilio Gadda, Taccuino di Caporetto. Diario di guerra e di prigionia
                           (ottobre 1917 – aprile 1918), a cura di Sandra e Giorgio Bonsanti, Milano,
                                                                 Garzanti 1991, pp. 91 – 100.
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