Page 32 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                  tragliatrice come m’accorsi poi, crepitava né più né meno contro i fuggiaschi
                  della passerella. Intravidi ormai il pericolo della prigionia, e affrettai il passo,
                  per raggiungere Cola, la passerella, non so che. L’ansia diveniva spasmodica.
                  Disperavo di trovar Cola, quando ci sentimmo chiamare, da poco sotto il ci-
                  glione! Oh; finalmente si trovavano i compagni. Scendemmo qualche decina
                  di metri e difatti trovammo Cola, con gli altri, seduti lì sull’erba: «Gadda!»
                  «Cola» «eh?» «Siamo qui.» Mi ricordo esattamente che appena lo vidi gli
                  chiesi: «che è?» «Sono loro, siamo perduti» mi rispose. «Sono loro?» chiesi, e
                  gli occhi mi luccicarono di pianto: «Sono loro? Ma è possibile?» e non seppi
                  dir altro, né far altro che piangere. «Ah! è orribile, è orribile» esclamò Cola
                  (parole precise) «Più che se fosse morto mio padre. Siamo finiti». I soldati
                  s’erano raccolti intorno a noi, con le tre mitragliatrici, due della mia sezione
                               a
                  e una della 3. ; quella di Cola era stata lasciata. Il luogo dove eravamo era
                  fittamente coperto d’arbusti e un rialzo ci nascondeva.
                     «Che fare?» Per
                  un  momento  l’a-
                  troce dolore mi fermò
                  il pianto; la necessità della
                  decisione  urgeva.  Conferii
                  con Cola: «eravamo circondati
                  e c’era di mezzo l’Isonzo (:) i tedeschi di la, noi
                  di qua (;) la nera fila dei nemici proseguiva verso Ternova, (ripeto
                  che il ponte di Ternova fu realmente distrutto alle 22 del giorno prece-
                  dente, 24 ottobre) altri salivano le montagne dell’opposta riva; qualche
                  crepitio di fucileria. Pareva che non si curassero di noi; e avevano ragione:
                  l’Isonzo era una barriera insuperabile. Pensai di sparar loro contro, ma Cola
                  me ne dissuase, poiché il nostro fuoco avrebbe ucciso qualche tedesco, ma
                  avrebbe fatto sterminare i nostri soldati adunati alla passerella, su cui erano
                  puntate le loro mitragliatrici. I nostri passavano il fiume, arrendendosi: non
                  c’era altro da fare. Allora decidemmo: di star lì fino a notte, di guastare le
                  armi, e di veder di salvarci nell’oscurità. Ma l’ostacolo del terribile, insupe-
                  rabile Isonzo ci sorgeva nella mente come uno spettro. Dove, come passarlo?
                  Intanto ci radunammo e ci riposammo. I 2 cucinieri che mi avevano seguito,
                  divisero l’ultima volta il formaggio fra i presenti. Consigliammo ai soldati
                  di consumare i viveri, poiché, nella probabilità, ormai grande, di cader pri-
                  gionieri, non li dovessero dare ai tedeschi. Io mangiai un po’ di marmellata,
                  offertami da Cola. Ero sfinito, ma senza fame.  Guardai ancora l’orribile fila
                  dei tedeschi. La strada non ne era più occupata, era ormai sgombra, solo qual-
                  che gruppo qua e là. Cola strillò perché temeva mi mostrassi e ci sparasse-
                  ro: ma purtroppo non spararono, si curavano poco di noi. Se avessero voluto
                  avrebbero potuto aprire il fuoco quando marciavamo in fila indiana sul ciglio
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