Page 66 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                  portare la gelosia della Patria così in profondo. Rischiava il dolore d’andarmi
                  tutto in astio, e la contemplazione della comune miseria tutta derisione. Erano
                  vere pene del Purgatorio sulla terra. A tratti mi tornavano a niente tutti gli
                  straccioni che in vita mia ho visto sui moli, intorno ai santuari, ai piedi delle
                  rovine di Roma, e poi gli orsi e le carrette degli zingari. Le civili speranze
                  concepite mi tornavano a vergogna.
                     E allora dove andammo, chi ci condusse, chi abbracciammo alla parten-
                  za, fra mezzo chi passammo, quanti giorni l’anima ci rimase così piagata e
                  chiusa? Presto lamenti e recriminazioni finiron col diventare plateali: l’ultima
                  innocenza s’era ristretta al silenzio e ai bisogni animali di mangiare bere dor-
                  mire. E bisognava svegliarsi ogni mattina. Ora racconto queste cose lamente-
                  voli non per mia vergogna ma per dire come fu che cinque giorni dopo la fuga
                  a un’osteria sotto gli argini del Bacchiglione, il sole persuase il mio animo di
                  riaprirsi alla vita e alla speranza, e per dire da chi mi venne, il primo invito
                  alla saggezza.


                     Era il meriggio e pel cancello tornava dalla scuola, con la cartella sotto il
                  braccio, una bambina dal viso sporco, dagli occhi belli, appena poco più alta
                  dei tacchini che per la spianata le andarono incontro. Guardò con sospetto il
                  tavolo che occupavamo e venne a girellarci intorno; perché quello era il tavolo
                  dei suoi studi e sopra il muro c’era un chiodo appositamente per sospendere
                  la cartella. Noi agguantammo la bambina per il giubbetto mentre girellava, e
                  così le prendemmo un quaderno su dalla cartella; la piccola, seria, restò a con-
                  siderarci. Sulla prima pagina del quaderno nuovo c’era scritto: cacceremo via
                  i tedeschi, cacceremo via tedeschi, cacceremo via i tedeschi, dieci volte, una
                  proposizione per riga. Sulla seconda pagina c’era scritto: saremo buonissime
                  sempre, dieci volte.
                     Sì, sì, cara maestrina che dettasti di tua iniziativa in una scuola di campa-
                  gna i capiversi di quell’osanna puerile, tu puoi vantarti di possedere la dialet-
                  tica della grazia e della remissione dei peccati. L’Italia, pei suoi ottimi motivi,
                  ha bisogno d’essere salvata. E tu che non hai dubitato un momento, hai fatto
                  promettere alle tue innocentissime scolare che saranno buonissime sempre, a
                  titolo d’espiazione comune, e intanto a compenso della certezza che caccere-
                  mo via i tedeschi.
                     Oramai non ci credevo più che in Italia esistesse tanto semplice e puro
                  amore d’Italia. E dopo quel quaderno mi sono vergognato d’aver disperato
                  della salvezza, della pronta riscossa, della vittoria. E subito nell’animo tornò
                  a rifluire tutta la vita, ancora vasta e ricca di voglie, di possibilità, di conso-
                  lazioni; perché senza speranze civili la vita non consente d’essere vissuta.
                  Che respiri di sollievo, una buona volta! a quella prima intimazione di spe-
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