Page 65 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia 63
no rivedremo. Di quanti dobbiamo dire: lo vedemmo a Udine l’ultima volta!
Prima di morire tutti erano venuti a fare acquisti, a prendere un bagno, a veder
noi, a restituirci le visite fugaci. Venivano a trovarci all’osteria della Terrazza,
o al solito caffè. Sedevano con noi. Lasciavano freddare la minestra pei lunghi
racconti che avevan da fare, per gli sfoghi eloquenti: gridavano come fossero
sempre all’aria aperta. Li accompagnavamo a fare spese di qua e di là, Udine,
per i tuoi negozi. Tu eri la grande merceria ed il grande bettolino dell’esercito
in armi. Avevi imparato magnificamente a far l’obbligo tuo. Con le scarpe
chiodate, ogni soldato che passava ti regalava un po’ di fango della sua trincea.
E oggi tutto posso immaginare, tranne le condizioni reali di questa città
nelle mani di chi la tiene. La fantasia, se ci si prova, s’offusca e vacilla: non sa
sostituirvi una linea, un particolare, un colore che aiuti a comporre un quadro
differente da quello che dura splendidamente nella mia memoria, così grata e
ancora fiduciale. Non riesco a pensarlo un soldato nemico che la notte tornan-
do a casa adopera la chiave che ho lasciato io, che entra nella stanza, accende
la stufa, si butta sul letto che fu mio, per tanti magnifici sogni.
Riesco un poco a consolarmi se penso che la levatrice di casa mia dentro
tutta la prima metà di quest’anno che comincia dovrà correre intorno per an-
cora aiutare italiani a venire alla luce. E che poi questi marmocchi non faranno
a tempo a imparare il tedesco.
Io non so e non voglio mai dimenticare quello che ho patito nei giorni
tremendi che abbiamo passato. Agghiacciata e ribelle l’anima all’annunzio
funesto, il tormento forse più insostenibile di quelle ore fu questo: nella faccia
d’ogni italiano che s’incontrava per via voler quasi leggere i segni dell’orgo-
glio punito, della fellonia convinta. Fui martire d’una livida allucinazione. Per
ore e ore credetti che non ci saremmo più riavuti, credetti davvero che la mia
generazione fosse condannata a finire così, che noi non ce l’avremmo fatta a
diventar vecchi. Mi sentivo precipitare in un futuro tetro. Entravo e uscivo
nelle chiese dove tiravano giù in fretta le pitture i candelabri per domandare
con ebbra provocazione a Iddio che cosa intendesse fare dell’Italia. Avrei vo-
luto agire e oramai mi repugnava di mischiarmi alla vita. Facevo dei balordi
progetti di penitenza. Salutavo gli allarmi d’aeroplani sopra Udine con un’an-
sia di malaugurio. Il sole che trionfava nell’azzurro indifferente mi faceva spa-
vento perché tentava anche in me uno scherno atroce. A goderne come prima,
della vista delle cose belle e incorruttibili, non mi sentivo più degno; a ritrarmi
in disparte, a fantasticare solamente qualche pensiero consolante, la solitudine
e il silenzio mi si facevano accusatori. Per ultima stravaganza mi sentii negato
ogni diritto d’essere caritatevole.
Mi proibii di pensare. a mia madre, a mia sorella. Mai e poi mai sapevo di