Page 64 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                  viso di tutti i negozianti, ho nell’orecchio il suono di tutte le ore che mi ci potei
                  impazientire e annoiare, in una città come quella, che fu la vera capitale della
                  guerra, nell’epoca d’oro della guerra. Avevamo finito coll’intendercela tanto
                  amicamente che le sue strade oggi mi paiono le strade uniche della felicità.
                     Quando il municipio metteva fuori le bandiere, noi andavamo alla stazione
                  a prendere reali del sangue, generali, uomini di Stato, scienziati e poeti di tutti
                  i paesi. Nessun’altra città contrastava il suo primato. Le notizie ci affluivano
                  da tutte le strade con una rapidità miracolosa, correnti come la luce, senza ave-
                  re il tempo di corrompersi. Ci furono delle mattine così splendide di cielo e di
                  notizie che in piazza si vedevano solamente facce chiare e soddisfatte. Mattine
                  così festose che veniva la voglia d’invocare le Muse.
                     Dal giornalaio Moretti, sulla porta dell’Albergo Italia, all’angolo del Caffè
                  Dortat, facemmo gl’incontri più cordiali e rumorosi, avvennero riconoscimen-
                  ti famosi di parenti e d’amici che s’eran perduti di vista dai dì dell’infanzia.
                  Assistemmo dopo l’offensive a gridi ed abbracci quasi selvaggi. E quelli che
                  anni e anni evitammo per rancore e antipatia, anche a quelli andammo in-
                  contro volentieri. Perché, ricordate com’era? a tutti ingenuamente premeva di
                  raccogliere il maggior numero di testimonianze che s’era presenti alla grande
                  chiamata. In quei mesi il sole parve illuminare per tutti la vita alla stessa ora.
                  Le differenze d’età poco contavano. Ci parve a tutti d’essere ingaggiati per-
                  sonalmente a concludere una stagione della vita. L’adolescenza e la virilità
                  culminavano in un lungo meriggio che non pareva offuscabile. In quei mesi ci
                  sembrò di dover riassumere rapidamente, senza amarezza, ciascuno il proprio
                  passato. Si mise una vecchia confidenza a Udine, la città dove s’incontrava
                  chi si voleva, come alla città della propria nascita e della propria educazione.
                  La vita nazionale vi si rimescolava giorno per giorno quanto mai fertilmente.
                     Anche i caratteri regionali più ombrosi e restii finivano con l’aprirsi al
                  buon calore e alla luce della vita in comune attività. La guerra imparava a
                  vivere ai meno vivi: uno spettacolo senza pari. Ed io mi domando se quelli dei
                  cittadini che non si sono saputi decidere, o non hanno fatto in tempo a venir
                  via da Udine col ripiegamento dell’esercito italiano, non debbano ora ricor-
                  darsi della vita che il nostro esercito seppe dare a una città già così discosta e
                  taciturna, per due anni e mezzo, come d’una festa e un sogno chiassosi, gentili,
                  pittoreschi, tutti d’amore e prodiga gioventù. Vogliamo anche dire che questa
                  nostra fu una guerra non abbastanza truce e soldatesca e disperata? Una colpa,
                  conveniamo, molto grave; ma — forse è la meno grave delle colpe. Si dice che
                  si ama la vita: non è detto che poi la morte facesse paura.
                     Udine, Udine sventurata! il viso, le parole, i gesti d’una infinità di amici
                  diletti che non rivedremo mai più, tornano nei nostri ricordi tutti fusi in un
                  aspetto della tua piazza, dei tuoi ritrovi, delle tue belle ore di sole, che un gior-
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