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            americano alla salvaguardia degli interessi locali e all’orgoglio delle genti,
            facendo leva sulla loro vanità.
               É assai controverso e forse destinato a rimanere tale il ruolo recitato prima
            e durante l’invasione della Sicilia dalle organizzazioni mafiose e separatiste,
            chiamate in causa ripetutamente, anche se genericamente, perfino dalla storio-
            grafia americana. Anche se è difficile quantificare il reale apporto della Mafia
            alla causa alleata in occasione della campagna di Sicilia, è quasi certo che tale
            aiuto ebbe più effetti propagandistici e psicologici che dirette conseguenze
            sulle operazioni militari vere e proprie. A conclusione, si può arguire che,
            sebbene non ancora esattamente quantificato, il contributo soprattutto morale
            e psicologico della Mafia e del separatismo siciliano all’operazione Husky
            fu un dato di fatto, mentre le occasionali azioni di resistenza antifascista e
            antinazista da parte della popolazione siciliana furono senz’altro determinate
            da situazioni contingenti e non rispondevano — o almeno non riuscirono a
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            rispondere — a pianificati progetti di insurrezione .

            La situazione militare. Le coste siciliane, oltre 1.400 Km., erano per la mag-
            gior parte adatte all’esecuzione di un’operazione anfibia ad eccezione della
            costa settentrionale tra Cefalù e Messina. L’Alto Comando italo-tedesco ave-
            va individuato nella parte orientale dell’isola il punto più probabile di sbarco
            e riteneva che le zone maggiormente minacciate fossero le piane costiere di
            Gela e di Catania. Da tempo era stata studiata la costruzione di una linea
            fortificata sulle alture dell’entroterra, ma l’esecuzione fu impossibile per la
            carenza di ferro e cemento. Furono quasi completati i lavori di costruzione di
            una fascia di sbarramento costituita da una linea di postazioni in cemento su-
            periori pearltro alla reale possibilità di armarle e presidiarle. Esse però erano
            intrinsecamente inadeguate poiché non in grado di resistere ai colpi delle arti-
            glierie di medio e grosso calibro. Le forze terrestri rivelavano gravi deficien-
            ze nell’equipaggiamento, armamento antiquato, nell’efficienza e nel morale;
            organici di artiglieria ridotti nei 12 complessivi gruppi, la cui maggior parte
            di tipo ippotrainato (8) o someggiato (1), un solo btg. semovente c/c da 47/32;
            nessun carro armato moderno (solamente i modelli L), pochi Renault mod. 35
            di preda bellica francese armati con cannone da 37 mm. inefficace contro le
            robuste corazze degli Sherman americani. Scarso anche il munizionamento
            dell’artiglieria e scadenti i collegamenti.
            Le batterie costiere erano poche e inadeguate. La difesa delle coste era inte-
            grata da tre piazze marittime (Messina, Trapani, Augusta-Siracusa) e da due
            difese-porto (Palermo e Catania). Le piazze militari marittime disponevano, in

            1   a. sanToni, Le operazioni in Sicilia e Calabria (luglio – settembre 1943), SME Ufficio Storico,
                Roma 1983, pp. 21-46.
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