Page 200 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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200 I 100 ANNI DELL’ELMETTO ITALIANO 1915 - 2015
componeva di una fascia in pelle naturale, cui erano cucite sette lingue con otto fori disposti a
punta di lancia, più uno rinforzato con anello metallico all’apice, per il passaggio della fettuccia
di regolazione. Su una delle lingue, senza fori, vi era il marchio nazionale ellenico e il numero
di taglia. Ai lati, direttamente dal cerchione, partivano due linguette metalliche, che reggevano
gli anelli rettangolari reggisoggolo. Il sottogola era di pelle naturale con due fibbie scorrevoli in
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ottone. Il peso complessivo era di circa 1.100 grammi, quindi più leggero rispetto all’origina-
le modello 33, da cui si era presa ispirazione.
Prototipi di elmetti metallici per aviatori
Sin dall’epoca dei pionieri del volo furono numerose le sperimentazioni di copricapi protet-
tivi destinati ai militari operanti sugli aerei. Le ragioni per lo studio di cuffie e caschi furono
numerose: protezione dai flussi di aria, copertura da agenti atmosferici e riparo da piccoli even-
tuali detriti dell’aeromobile. Tuttavia, a parte il già citato infelice tentativo di usare i Farina,
non fu mai sviluppato in modo sistematico lo studio di copricapi, che proteggessero la testa del
militare da possibili colpi nemici. 280
Questo accadeva, nonostante il sempre maggiore impiego degli aerei e dei relativi equipaggi
in combattimenti ad alta quota, elemento che rendeva primaria la necessità di tutelare la sicu-
rezza del pilota e del restante personale imbarcato. La logica di tale disinteresse è da ricercare
nel presupposto che l’Aeronautica non fosse equiparabile alla Fanteria nelle esigenze operative.
Così, a differenza di alcune omologhe straniere, l’Arma azzurra ancora per tutti gli anni Trenta
rimase priva di qualsiasi copricapo metallico, sia per i servizi a terra, sia per ragioni di rappre-
sentanza, sia per qualsiasi altra mansione.
Rimanendo al caso italiano, tuttavia all’incirca dopo la guerra d’Etiopia e contestualmente
a quella di Spagna, la Regia Aeronautica avviò alcuni importanti studi sull’uso di veri e propri
elmetti metallici anche per l’Arma azzurra. Il primo (e per certi aspetti l’unico), che risulta
essersi interessato a questo problema, fu il tenente colonnello commissario Giovanni Battista
Lala, dell’Ispettorato di Commissariato militare aeronautico. In una sua relazione preliminare
del giugno 1937 fece presente come, a differenza delle Forze Armate di terra, dotate di elmetti
protettivi con determinate caratteristiche, la Regia Aeronautica mancasse:
«1°) – di un copricapo che possa ritenersi equiparabile all’elmetto in uso nel R. Esercito
e nella M.V.S.N., anche per funzioni di parata.
2°) – di un casco da volo che: a) sia estetico nella forma; b) abbia peso ed ingombro li-
mitato; c) abbini tutte le caratteristiche richieste sia per il caschetto di cuoio impellicciato
che per il casco di protezione; d) abbia una calotta interna di peso minimo, ma costruita
con materiale tale che garantisca contro urti anche di particolare gravità;
3°) – di un casco da combattimento o di una copertura al normale casco da volo che sia
imperforabile, possibilmente, alle pallottole di mitragliatrice, del calibro di mm.13,2». 281
279 E. Bossi-Nogueira, L’elmetto italiano 1915-1971, op. cit., p. 17; A. Viotti, Uniformi e distintivi dell’Esercito
italiano nella Seconda guerra mondiale, op. cit., p. 209.
280 P. Marzetti, Elmetti 1915-1973, op. cit., p. 77.
281 ACS, Min. dell’Aeronautica, Gabinetto, 1937, b. 18, f. Casco di protezione personale navigante, pro-meoria
per il sig. Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro per l’Aeronautica del 13/6/1937 di Lala.

