Page 137 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940)  137

              Etiopia (1936-1940)




              L’Africa Orientale Italiana
                 L’Etiopia faceva parte dal maggio del 1936 dell’Africa Orientale Italiana, insieme all’E-
              ritrea e alla Somalia italiana; con una superficie di 990.000 km² – 3 volte l’Italia – si stima-
              va allora fosse abitata da 5/10 milioni di persone e presentava una morfologia territoriale
              molto varia: immensi altipiani, foreste, deserti, laghi, fiumi con climi ovviamente molto
              diversi fra loro.
                 La guerra all’Etiopia che si era conclusa in soli 7 mesi con un travolgente, quanto ap-
              parente, successo, vide in seguito l’esercito italiano impegnato in una serie di operazioni di
              controguerriglia molto complesse, specchio inequivocabile della reale situazione. In questo
              senso possiamo prendere la proclamazione dell’impero come spartiacque: la guerra infatti
              si era trasformata ben presto in guerriglia, in un conflitto di contrasto che vedeva l’Italia
              impegnata contro dissidenti, ex armati e soprattutto banditi e briganti, questi ultimi da
              secoli recalcitranti verso ogni forma di potere. Basta infatti scorrere le cronache etiopiche
              del tempo per capire la portata di quel fenomeno endemico che vide emblematica, in tempi
              non così lontani, la figura dell’imperatore Teodoro II. Con la guerriglia erano arrivate le
              operazioni di polizia coloniale, ma sarebbe riuscita l’Italia ad averne ragione? Sappiamo che
              per la Libia il dissenso venne a cessare dopo quasi 20 anni di cruenti combattimenti; per
              l’Etiopia i dati disponibili fanno ritenere che le azioni militari, accompagnate dalla politica
              più avveduta e vicina al popolo etiopico del viceré Amedeo di Savoia, si indirizzassero verso
              un esaurimento del fenomeno . È probabile, anche se non scontato, che la questione del
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              dissenso sarebbe andata scemando col trascorrere del tempo, insieme a un’accorta politica
              verso gli indigeni, non più basata sull’esclusione dei capi.
                 Badoglio se ne era reso conto: per avere sotto controllo tutto l’impero sarebbe stato
              utile, necessario aggiungiamo noi, valersi dell’esempio dato dallo stesso Hailè Selassiè, il
              Negus, che mai aveva cessato di venire a compromessi con i grandi feudatari del suo regno,
              con le buone o con le cattive. In questa ottica, infatti, non c’è da stupirsi di fronte al grande
              perdono che, una volta tornato al potere, il Negus decise di concedere al suo più acerrimo
              nemico: ras Hailù.
                 Tutto ciò non venne inizialmente capito: Mussolini, a guerra vinta, aveva affermato che
              i capi e i ras abissini non contavano più nulla. Badoglio aveva voluto, in tempi non sospetti
              e con lungimiranza, ricordare l’esperienza libica, per non parlare poi dei pragmatici metodi



              380 Secondo i Regi Decreti, nel periodo 6 maggio 1936-15 dicembre 1937 le regioni o territori dell’im-
                 pero interessati ai cicli operativi di polizia coloniale erano 152 (per 33 cicli operativi); nel periodo 16
                 dicembre 1937-15 luglio 1938 scesero a 82 (per 18 cicli operativi); nel periodo 1° luglio-31 dicembre
                 1938 a 69 (per 16 cicli operativi); nel periodo 1° gennaio-30 giugno 1939 divennero 76 (per 33 cicli
                 operativi); nel periodo 1° luglio-31 dicembre 1939 se ne contarono 92 (per 28 cicli operativi; ne era
                 escluso il Governo della Somalia); per arrivare infine, dal 1° gennaio al 10 giugno 1940, a 27 (per 9
                 cicli operativi e nei soli Governi o settori dello Scioa e dell’Harar).
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