Page 139 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 139
rappresaglie sulle popolazioni sottomessesi. Il discorso di queste genti era veramente deli-
cato: l’occupazione di un territorio presupponeva prima di tutto il disarmo completo della
popolazione che esitava a consegnare le armi con cui si era difesa da briganti e predoni sino
a quel momento. Una volta disarmata, bisognava però essere in grado di difenderla, cosa
che non sempre avvenne.
Non così di rado capitava anche che intere tribù si accodassero alle truppe impegnate
in operazioni: durante quelle per la cattura di ras Immirù, nel Gimma, il comandante Prin-
civalle aveva avuto modo di constatare che centinaia di profughi si erano posti al seguito
delle truppe italiane che, ovviamente, non li avevano rifiutati, anche se “il giungere di tutta
questa gente con quadrupedi carichi di masserizie, con donne, bambini, vecchi, intralciò
gravemente la marcia e l’ordine dei reparti” .
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Stupisce che nessuno si sia mai soffermato su questo aspetto: se è vero che l’occupazione
italiana in Etiopia è stata dura esattamente quanto qualunque altra occupazione straniera
in qualunque terra occupata, e che gli italiani non si sono distinti per particolari doti diplo-
matiche e umanitarie, come si è cercato di far credere fino agli anni Sessanta, va anche detto
che spesso neppure i guerriglieri hanno dato il meglio di sé durante gli anni del governo
italiano. Il concetto che le popolazioni sottomesse non dovessero essere vessate era chiaro:
non c’era infatti volontà da parte di chi stava operando sul campo di distruggere indistin-
tamente tutto, come testimoniano le parole di molti comandanti. D’altro canto, per chi
appoggiava il nemico non c’era scampo.
La reazione italiana ai continui attacchi degli arbegnà doveva essere all’insegna del
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“non farsi sorprendere”, soprattutto per la sicurezza delle fondamentali vie di comunica-
zione , come la ferrovia o le rotabili. La guerriglia, infatti, concentrerà spesso le proprie
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azioni di disturbo su strade e ferrovie: i convogli sprovvisti di scorta sufficiente erano ber-
sagli quasi certi. Contro di essi si manifestava l’azione degli arbegnà in maniera improvvisa,
violenta, sfruttando al massimo l’effetto dell’imboscata: la grande mobilità delle formazioni
etiopiche permise di effettuare diverse azioni ostili in uno stesso giorno su territori anche
parecchio lontani fra loro.
Il territorio in questione, infatti, si prestava in maniera egregia a simili azioni: soprat-
tutto la zona dell’altopiano frastagliata, ricca di vegetazione e di crepacci improvvisi con
pareti a picco, divenne il palcoscenico di una lotta che in certi momenti assunse forme
preoccupanti e di assoluto rilievo.
Il 1937 si aprì, a febbraio, con l’attentato al viceré Graziani e la reazione che ne seguì
durante i mesi successivi fu così tremenda da scatenare un effetto a catena che coinvolse
numerose regioni dell’Amara, prima fra tutte il Goggiam. In seguito all’eliminazione, quasi
sempre fisica, dei sospettati capi maggiori, la guerriglia che inizialmente aveva visto l’azione
di grandi masse compatte di ribelli mutò forma, concentrandosi per lo più in nuclei ridotti
382 Relazione sull’occupazione del Gimma e sulle operazioni che condussero alla cattura di ras Immirù, firma-
to Princivalle del 28.12.1936, Allegato 27, AUSSME, Fondo D-6, DS 56.
383 Patriota in lingua amarica.
384 Difesa comunicazioni, firmato Graziani del 12.10.1937, AUSSME, Fondo D-6, DS 70.