Page 171 - L'ITALIA DEL DOPOGUERRA - L'Italia nel nuovo quadro Internazionale. La ripresa (1947-1956)
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160                                            ALDO  A.  MOLA

             da De Viti  De  Marco,  da  Novello  Papafava  dei  Carraresi e  dallo  stesso
             Gaetano Salvemini  che dagli  Stati  Uniti  d'America  ripropone  le  misure  già
             prospettate  nel  primo  decennio  del  Novecento e  fatte  proprie,  in  Italia,
             dall'azionìsra pugllese Tommaso Fiore.
                A cospetto dell'enormità delle rovine alle quali urge porre rimedio (porti,
             strade,  ferrovie,  edifici  pubblici,  impianti  produttivi,  servizi  della  peraltro
             perennemente  carente  igiene  pubblica ... ),  anche nell'età dei  partiti  di massa
             continua a  risultare suggestivo il vatidnìo (o almeno l'auspicio) del meridio-
             nalista avellinese Guido Dorso di  "cento uomini d'acciaio, col cervello  lucido
             e  l'abnegazione indispe.nsabile". l dati sul reddito  degl'italiani dell'immediato
             dopoguerra fanno  però Intendere che, senza strumenti appositi, quei  "cento
             uominì" si  ridurrebbero a  scrivere,  predicare,  protestare come generazioni di
             non  meno ingenui  né meno geniali studiosi della  questione meridionale  sin
             dagli albori deU'Jlluminìsmo: senza risultati apprezzab!U.
                 Nel Mezz:ogiomo (comprendente le grandi Isole), il reddl.to  medio annuo
             pro capite risulta  infatti di 128.500 lire conlro le 204.900 della media naziona-
             le e  le 315.300 delle regioni  nord-occidentali: squilibrio che da solo  basta a
             evidenziare e  a  riassumere un divario  che va oltre il fatto economico e  Inve-
             ste cosrume, storia, 'civiltà'.
                 Perciò il nuovo  meridionalismo trae soprattutto da  due pensatori che, al
             di  là delle owie e  profonde differenze,  si  Integrano: il 'volontarisla'  Antonio
             Gramsci  e  il cattolico don  luigi Srurzo.  Mentre  per  il primo  la  redenzione
             delle  plebi meridiona.li  passa attraverso  la lotta  unitaria a  ftanco delle  masse
             operaie del settentrione in una medesima  prospettiva rivoluzionaria - respin-
             gendo quindi il gradualismo del socialismo riformislico  di primo Novecento,
             risoltosi a suo giudizio, in mero ra.fforzamento del caplralismo e ln benefici 'dJ
             seconda  mano'  a  favore  del  proletariato settentrionale, guidato  dal  filippo
             Turati alla  sua  morte bollato da Togliatli  quale  massimo "corruttore"  della
             classe operaia  - per Srurzo  il decollo  civile  del  Mezzogiorno va  incardirtato
             sulla  riforma  dello  Stato  nel  segno di  ampie autonomie,  suUa  valorizzazione
             delle  energie  locali  e  nella  lotta  senza  quartiere alla  corruzione,  tramite  la
             quale  l  potentali  economici  utilizzano quali  propri ;suumeoti di  dominio -
             assoldandoli e gettandoli contro la loro stessa gente - quelli che già Salvemini
             aveva marchiato quali 'ascari': dnid tramiti del domlnio e  dello sfruttamenro
             dei "cafoni", pertanto condannati all'immobillsmo perenne.

             Statuti specJaU e provvedimenti straordinari
                 l  primi  consistenti  passi  del  modo nuovo di affrontare  la  specificità del
             Mezzogiorno  si  registrano con  l'istituzione dell'Alto Commissariato per  la
             Sardegna (R.d.l. 27 gennaio 1944 n. 21), poi affiancato da una Consulta regionale
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