Page 345 - La Grande Guerra segreta sul fronte Italiano (1915-1918) - La Communication Intelligence per il Servizio Informazioni
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CAPITOLO DODICESIMO




                  zio dell’anno successivo, si prevederà di equipaggiare con “stazioni da trincea” di piccola potenza
                  le Brigate, ma questo obbiettivo sarà conseguito solo parzialmente prima della fine del conflitto, a
                  causa di diverse difficoltà connesse con la scarsezza degli approvvigionamenti e con la necessità
                  di estendere a un gran numero di operatori un’adeguata formazione, curando in specie le capacità
                  di cifrare correttamente i dispacci e di sfuggire all’inquadramento dei radiogoniometri nemici.


                  La “fonte” deLLa commissione
                  Sul tema della Communication Intelligence, la Commissione d’inchiesta non pone alcun quesito
                  specifico ai testi escussi, né tantomeno interroga alcun Ufficiale dell’Esercito austroungarico, ca-
                  duto prigioniero, tra quelli che avevano operato nei Penkala. Non si comprende perciò facilmen-
                  te quali informazioni abbia utilizzato per emettere il drastico giudizio sulla crittologia italiana
                  richiamato nel primo capitolo di questo libro. 85
                  A quanto è dato sapere finora, l’unica fonte a disposizione della Commissione, a proposito delle
                  attività crittografiche durante il conflitto, sembra essere la già menzionata lettera - relazione
                  inviata da O. Marchetti allo Stato Maggiore del Ministero della Guerra, il 14 marzo 1919.  La
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                  prova che la Commissione aveva a disposizione quella lettera, sta nella riproduzione quasi inte-
                  grale della frase riguardante il rilievo delle linee di ritirata dell’Esercito italiano dopo Caporetto
                  mediante la radiogoniometria. La Commissione trascura però di citare il periodo successivo,
                  ove Marchetti afferma che gli Italiani possedevano anch’essi delle stazioni radiogoniometriche,
                  migliori di quelle dell’Esercito austro ungarico.
                  In questa sede non si intende analizzare dettagliatamente tutti i contenuti della lettera che in-
                  clude, insieme ad alcune utili informazioni, qualche inesattezza storica e crittologica, ma solo
                  illustrarne l’impostazione generale unitamente agli scopi perseguiti da Marchetti, formulando
                  infine alcuni commenti.
                  Il documento, composto da sole cinque pagine, non può necessariamente trattare in modo esau-
                  riente il tema enunciato nell’oggetto, cioè «l’attività dei reparti crittografici dell’Esercito austro
                  ungarico durante la guerra», anche perché, al fine di evidenziare le debolezze della crittologia
                  italiana, si occupa anche di cifrari diplomatici e della Regia Marina. Non si fa, tra l’altro, alcun
                  riferimento specifico alle vicende verificatesi negli ultimi mesi del 1917, né tantomeno alla situa-
                  zione della crittologia italiana al momento in cui la relazione è stata redatta, come sarebbe stato
                  probabilmente più appropriato, vista la finalità della lettera che sarà tra poco evidente.
                  Le notizie riferite derivano da «recenti rivelazioni di militari che appartennero agli uffici crittogra-
                  fici del disciolto esercito austro ungarico», i quali durante gli interrogatori, avevano illustrato «i
                  vantaggi assai considerevoli che il possesso del nostro (italiano, N.d.A) segreto crittografico assi-
                  curò allo stato maggiore austriaco». In sostanza, l’Autore ha solo riportato quanto raccolto dalle
                  dichiarazioni di Ufficiali austriaci prigionieri, senza approfondire l’evoluzione dei cifrari militari
                  in entrambi gli schieramenti e il progresso delle capacità crittologiche italiane i cui effetti, divenuti
                  particolarmente manifesti nell’ultima parte del conflitto, saranno descritti nei capitoli successivi.
                  A questo proposito, egli cita come cifrari non risolti dagli Austroungarici solo il divisionale
                  “D” e l”SI” già noti al lettore perché concepiti nel corso del 1917, oltre al reggimentale “R” e
                  al cifrario interalleato “I. A.” - indicato erroneamente come “L. A.” - che entreranno in servizio


                  85   Si ripete qui il testo della Relazione in cui si esaltano «i perfezionamenti raggiunti dal nemico nel proprio servizio infor-
                  mazioni (basterà accennare allo sviluppo assunto dalla intercettazione radiotelegrafica sussidiata da un meraviglioso servi-
                  zio criptografico)» La nota al testo recita: «Durante il ripiegamento, il rilevamento delle nostre stazioni radiotelegrafiche e
                  la decifrazione dei nostri radiotelegrammi servì allo stato maggiore austriaco per identificare la nostra linea di ripiegamen-
                  to. Da documenti catturati dopo l’armistizio è risultato che il nemico aveva trovato la chiave di quasi tutti i nostri cifrari,
                  compresi i più gelosi e complicati: Si comprende da ciò in quale stato di terribile inferiorità si svolgesse il nostro giuoco
                  diplomatico e militare contro di lui».
                  86   Servizio Informazioni, Attività dei Reparti crittografici op. cit., p. 4.


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