Page 26 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.


            tenzione di provocare una ribellione nel retroterra dalmata, sfruttando le condizioni
            di estrema miseria della popolazione contadina della zona. Composto da un esiguo
            numero di uomini, il gruppo realizza un modesto attentato alla gendarmeria del
            villaggio di Brušani e a ribellione repressa la pattuglia ripara precipitosamente in
            Italia.
               La fallimentare insurrezione in Lika porta il governo e la stampa di Belgrado ad
            accusare l’Italia di aver sostenuto e armato gli ustaša e il governo di Roma a ricon-
            siderare con riserve e prudenza la possibilità di successo del movimento separatista
            croato ed il sostegno ad esso fornito. I delicati rapporti italo-jugoslavi devono tutta-
            via subire ancora il colpo più duro. Gli ustaša hanno infatti già programmato l’as-
            sassinio del sovrano jugoslavo, Aleksandar Karađorđević. L’opportunità si presenta
            il 9 ottobre 1934 a Marsiglia, in occasione della visita del re in Francia. La loro
            responsabilità è subito evidente. Incalzato dalle pressioni internazionali, Mussolini
            fa arrestare Pavelić e il suo braccio destro Eugen Dido-Kvaternik, confinando a Li-
            pari gli ustaša presenti nella penisola (all’epoca circa quattrocentocinquanta); alla
            successiva richiesta di estradizione delle autorità francesi, tuttavia, i leader croati
            non vengono consegnati. La decisione non può non apparire sospetta a chi accusa
            Mussolini di essere a conoscenza dei piani degli ustaša o addirittura di esserne
                       7
            l’ispiratore.  Si cerca quindi di chiudere il prima possibile l’incidente, evitando
            complicazioni internazionali e senza indagare un eventuale coinvolgimento italia-
            no. Con Pavelić e Kvaternik in carcere a Torino fino alla fine del processo di Aix
            en Provence, l’Italia sospende il sostegno ai separatisti croati. È interesse italiano
            attenuare le pressioni internazionali e distendere per quanto possibile le relazioni
            con la Jugoslavia. Il ministro a Belgrado Viola è incaricato di assicurare il governo
            jugoslavo che l’Italia ha interrotto i rapporti con i fuoriusciti croati, salvo l’acco-
            glienza concessa per “un principio generico di ospitalità e senso di umanità” (i cro-
            ati concentrati a Lipari avrebbero presto avuto la possibilità di emigrare altrove). 8


            7  Si veda R. De Felice, Mussolini il duce, vol. I, pp. 513 e 520-527; M. Dassovich, I molti
               problemi dell’Italia al confine orientale, 2 – Dal mancato rinnovo del patto Mussolini-Pašić
               alla ratifica degli accordi di Osimo (1929-1977), Udine, Del Bianco, 1990, pp. 45-58; M.
               Bucarelli, op. cit., pp. 249-261. Gli storici tendono tuttavia a escludere un coinvolgimento
               diretto di Roma nell’attentato, pur nell’evidenza che le autorità italiane non potessero ignora-
               re le intenzioni di Pavelić e dei suoi uomini e che ospitandoli e finanziandoli l’Italia assume-
               va una generica responsabilità politica e morale per le loro attività. La volontà di assassinare
               il sovrano jugoslavo è del resto nota ai funzionari del governo italiano già dal 1929. Si veda
               l’appunto ministeriale sul programma d’azione e le aspettative di Pavelić in nota a DDI, Set-
               tima serie, 1922-1935, vol. IX, doc. 33.
            8  ASDMAE, b. 1165 (UC 49), Corrispondenza relativa ai rapporti con la Jugoslavia, settem-
               bre 1933-aprile 1940, fasc. 1, Ministero degli Affari Esteri, Riservato, Appunto per S.E. il
               Sottosegretario di Stato, Istruzioni di S.E. il Capo del Governo al Ministro Viola, 26 febbra-
               io 1935-XIII. Si veda anche R. De Felice, pp. 646-647 n.; M. Dassovich, I molti problemi

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