Page 11 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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X Momenti della vita di guerra
dal direttore della biblioteca del Museo del Risorgimento di Roma, Mario Menghini.
Molti furono i fattori che spinsero lo storico siciliano ad accantonare le ricerche
sull’antico cristianesimo per approdare all’attualità; sicuramente influì il forte incorag-
giamento di Benedetto Croce, che già nel 1921 recensendo su «La Critica» le lettere di
un giovane volontario tedesco ucciso sul fronte francese nel 1918, esortava «qualche
ingegno storico e filosofico» a intraprendere l’analisi dei tanti volumi, volumetti e
opuscoli che raccoglievano le missive e i diari dei militari caduti in guerra. Altra solle-
citazione gli venne dalla crescente attenzione degli storici per un evento che per la for-
ma, per la durata, per la molteplicità degli aspetti e dei problemi a esso collegati, non
aveva alcun precedente nella storia dell’umanità. Fu indotto probabilmente a questa
scelta anche dalle numerose manifestazioni e pubblicazioni promosse dalle associazioni
di combattenti e di reduci che tra gli anni Venti e Trenta celebravano il ricordo della
guerra. Alla base vi furono senza dubbio la sua diretta esperienza al fronte, l’approfon-
dita riflessione sviluppata nei quarantun mesi di guerra fermata nel bellissimo episto-
lario con la moglie Eva, la fierezza per il dovere compiuto «Domani son diciotto anni
dall’intervento – scriveva all’amico Luigi Russo nel maggio del 1933, ormai prossimo
alla conclusione del lavoro – Vista a distanza, grandeggia sempre di più quella nostra
generazione di cui noi siamo gli epigoni».
* * *
Benché riformato alla visita di leva nel 1909, Omodeo fu arruolato nel Regio Eserci-
to il 1° luglio 1915 e, come sottotenente della Milizia Territoriale, prestò servizio nel 4°
Reggimento Artiglieria da fortezza. La chiamata alle armi lo sollevò da un dilemma che
stava diventando un vero caso di coscienza: combattuto tra il desiderio di prendere parte
alla guerra e di partire volontario, e la possibilità di rimanere in attesa della mobilitazione,
trattenuto dal senso di responsabilità di fronte ai doveri verso la nuova famiglia. Ideal-
mente aveva già comunque maturato la sua scelta da tempo, tanto che nel dicembre 1914
scriveva al suo antico professore del liceo Garibaldi di Palermo Eugenio Donadoni: «Mi
preoccupa non poco la crisi europea, in cui secondo ogni probabilità dovrà impegnarsi
l’Italia. Ma se si spiegherà nuovamente la bandiera del Risorgimento, ci sarò anch’io: costi
che costi» e poi in un’altra lettera nei giorni decisivi del maggio del ’15, quando si anda-
vano moltiplicando le iniziative in sostegno della neutralità, «Le confesso che preferirei
morire in campo, non ostante i mille legami che mi fanno cara la vita, che dover arrossire
d’essere italiano sotto il regime d’una pace giolittiana. Ma speriamo che i fati si compiano
per il meglio d’Italia: tutto ora ammonisce che il mondo non è fatto per i fiacchi e i vili».
Con queste parole interpretava anche il sentimento comune a una gran parte di quei
giovani italiani, per lo più esponenti della borghesia colta, che partirono volontari per