Page 16 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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Introduzione XV
dee superstiti, Giustizia e Libertà» e proporsi guida e punto di riferimento per la gran
maggioranza dei combattenti che vissero la guerra come imposta da una minoranza. Un
compito impegnativo si presentò allora a questi ufficiali: ispirare nel soldato, nei fanti
contadini «che estranei ai problemi della politica, erano strappati alle loro case, alle loro
donne, ai loro figli, e condotti a uccidere e morire, come da un turbine», le motivazioni
ideali che li avevano portati a combattere. Si prodigarono così senza limiti, dimostran-
do con i fatti di patire le stesse privazioni e di affrontare gli stessi rischi. Il loro agire
doveva essere d’esempio e divenire, con un accento quasi kantiano, un paradigma di
comportamento che non poteva essere piegato a nessun calcolo. «Non è quindi ingiu-
sto – osservava lo storico palermitano a sostegno della sua scelta – contro ogni pretesa
quantitativa, rappresentare l’esercito operante come mosso dal cuore vivo dei migliori,
che soffrirono l’angoscia e la responsabilità di tutti, che non disperarono nei rovesci, e
nei loro ideali di patria e d’umanità trovarono il viatico per l’aspro cammino».
* * *
La ricerca s’inseriva in quella straordinaria celebrazione collettiva della morte espres-
sa all’indomani della Prima Guerra Mondiale nel culto dei caduti, riallacciandosi nello
stesso tempo alla tradizione nazionale ottocentesca del ricordo dei patrioti che avevano
sacrificato la loro vita nelle lotte per l’indipendenza, dei volontari caduti nelle guerre
del Risorgimento, dei morti sul patibolo, di coloro che furono incarcerati nelle prigioni,
vittime della repressione politica. A tutti costoro allora furono tributati onori e diven-
nero icone della religione della patria. (Non omnis moriar: gli opuscoli di necrologio per i
caduti italiani nella Grande Guerra: bibliografia analitica, a cura di Oliver Janz, Fabrizio
Dolci, Edizioni di storia e letteratura, 2003)
Tuttavia quei «tesori ignorati» di cui scriveva a Lombardo Radice erano costituiti in
larga parte dai numerosi opuscoli commemorativi dedicati a singoli combattenti senza
notorietà, pubblicati a cura dei familiari, degli amici, dei commilitoni già nel corso del
conflitto, un monumento di migliaia di pagine che si affiancava a quelli edificati nel mar-
mo e nel bronzo di cui, finita la guerra, si erano riempite le piazze delle città e dei paesi
italiani. La scelta compiuta da Omodeo fu invece di trasportarli dall’ambito del ricordo
privato a quello della rievocazione pubblica, di riunire memorie ed esperienze diverse, di
presentarle, ricomposte in una silloge che non fosse solo la somma di singole rimembran-
ze, né un’antologia degli scritti dei caduti. L’originalità e la forza dello scritto sono nel
ripercorre i vari momenti della guerra e nel rendere la voce, l’anima e il volto a quell’impo-
nente massa di giovani che stipati nel labirinto delle trincee nella pietraia carsica, incrodati
sulle pareti rocciose delle montagne alpine avevano compiuto il loro dovere combattendo
per la patria e che nondimeno rischiavano di rimanere anonimi e grigi come le uniformi