Page 14 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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Introduzione XIII
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Dieci anni dopo la conclusione della guerra, in una mutata stagione politica, il suo
intento nel ricercare e commentare le lettere e i diari di militari italiani caduti in com-
battimento rispose anche a un chiaro disegno pedagogico per riportare l’attenzione,
soprattutto dei giovani, sui valori che avevano sorretto i combattenti in quei lunghi
tre anni e mezzo in cui si sviluppò l’immane conflitto. Gli era parso, infatti, che, rag-
giunta la pace vittoriosa, di quello straordinario impegno della nazione e di un’intera
generazione immolatasi sui campi di battaglia non si ricordasse ormai che il principio e
la fine: il maggio d’oro del 1915 che aveva portato all’intervento e la celebrazione della
vittoria che rappresentò il momento più alto e più partecipato con la tumulazione del
Milite Ignoto all’Altare della Patria. Era stato dimenticato, addirittura rimosso il du-
rissimo impegno bellico, le sofferenze patite dai combattenti, il sacrificio quotidiano di
migliaia di uomini. Riteneva che «in Italia, mentre fiorisce copiosissima la letteratura
sulla guerra, si è obliato, o meglio, s’ignora ciò che han detto e scritto quelli che mori-
rono. E avviene che la parte, che sopravvissuti e commentatori riserbano a se stessi, sia
un po’ troppo grande, e che nuove passioni e nuovi stati d’animo si sovrappongano a
far velo alle passioni e alla passione della guerra. A scorrere gli epistolari e i diari degli
scomparsi – essi son rimasti sulle loro posizioni – ci sentiamo trasferiti in un’altra tem-
perie spirituale, quasi in un’altra generazione, dopo appena un decennio». Ridiede in
tal modo vita ai caduti, facendoli scendere dall’alto dei monumenti da dove, quali eroi
senza tempo, erano immortalati nell’atto di fermare il nemico senza lasciar trasparire
nessuna sofferenza. Li riportò nel fango, nell’angoscia, nella paura, nel dolore. (Annette
Becker, Commemorare la Grande Guerra, «Quaderni Forum», 2000). Una scelta in con-
trasto con l’enfatica e maggioritaria oratoria di guerra nell’Italia degli anni Trenta che
esaltava l’immagine eroica del soldato, del fante come un essere speciale sempre pronto
a gesti eccezionali. Esemplare di questa lettura celebrativa la raffigurazione della Grande
Guerra cui era affidato il compito di aprire le sale della Mostra della Rivoluzione Fasci-
sta a Roma.
Omodeo si dispose perciò all’ascolto dei caduti, con un implicito richiamo al carme
foscoliano Dei Sepolcri, a una lunga nekyia (l’interrogazione delle anime dei defunti
secondo la cultura classica) come la definiva nelle ultime pagine del suo lavoro, per rac-
cogliere lo spirito dei combattenti, perché solo la memoria consente oltre la morte di riper-
correre le tappe della vita degli uomini. Temeva che le energie morali che avevano deter-
minato la partecipazione a quella guerra, divenuta grande per definizione, andassero ora
smarrite, dimenticate e fosse rinnegata e perduta la fede di chi vi era morto. Lo storico
rivolse allora un’angosciosa domanda ai defunti: se la loro morte a decine di migliaia, se
i tremendi sacrifici affrontati fossero ora giustificati dai risultati conseguiti con la vitto-