Page 17 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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XVI Momenti della vita di guerra
che indossavano, senza una propria identità, mossi sullo scacchiere dei fronti come pedine
passive e inconsapevoli dai comandi militari, perché «nessuno, negli eserciti immensi,
sovrasta di tutto il capo sulla folla, come Aiace nel campo acheo». Con questo studio,
nuovo per l’impostazione critica con cui affrontava il tema del mondo morale e ideale dei
combattenti (con davvero pochi precedenti nell’ampia produzione sulla Grande Guerra,
forse con le sole eccezioni di Lettere e scritti di caduti per la patria nella guerra 1915-1918
del 1926 di Michele De Benedetti, del mensile «Rivista eroica», pubblicato nel corso della
guerra e dedicato al ricordo degli ufficiali morti in combattimento, ma soprattutto dei
due volumi, ampiamente citati nel corso della narrazione, di Maria Notari Olivotti Luce
di scomparsi del 1921) si propose di spostare l’attenzione dagli eventi bellici alla realtà
interiore e ai sentimenti degli uomini che quelle situazioni avevano vissuto.
* * *
Dunque Momenti rappresentò un’intuizione nuova per raccontare la storia del con-
flitto da una diversa angolatura, non dai resoconti degli uffici storici degli eserciti, né
da quelle corrispondenze giornalistiche di guerra sprezzantemente criticate dai militari
come tendenziose e percepite come una costante manipolazione della realtà, né dalle fonti
diplomatiche, ma direttamente dalle lettere e dai diari dei combattenti, testimonianza
dello spirito e di quell’anima che permisero loro di superare la logorante vita di trincea, la
lontananza dagli affetti più cari, il terrore della morte e del dolore, l’angoscia degli assalti
(Giacomo De Marzi, Adolfo Omodeo: itinerario di uno storico, Quattroventi, 1988).
L’ascolto delle voci dei caduti ripercorre quindi la biografia di un’intera generazione,
della generazione carsica, e guida il lettore attraverso un impervio sentiero, in una sorta
di discesa agli Inferi dove gli eventi terribili e schietti dei quarantun mesi di guerra,
ciascuno con la sua storia e il suo particolare tormento, sono illuminati da un potente
contenuto etico che non vuole essere consolatorio, ma monito di elevazione spirituale.
C’è il combattente in cui prevale il senso del dovere, altri che vivono un’esperienza
quasi mistica, altri ancora, come il critico Renato Serra, convinti che la guerra sia un
evento che non cambi nulla nel mondo e l’accettano e vi partecipano solo in una vi-
sione di solidarietà nazionale: «Quell’Italia che mi è sembrata sorda e vuota, quando la
guardavo soltanto; ma adesso sento che può essere piena di uomini come son io, stretti
dalla mia ansia, e incamminati per la mia strada, capaci di appoggiarsi l’uno all’altro, di
vivere e di morire insieme, anche senza sapere il perché: se venga l’ora» (La distruzione
delle speranze).
Su tutto si dipana un filo rosso, anzi tricolore, che unisce tra loro i protagonisti,
busti, tutti, senza piedistallo, cui è affidata la narrazione della vita di guerra. Di là della
particolare situazione contingente e dello stato d’animo manifestato negli scritti dal