Page 22 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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Introduzione XXI
Tra quelle che si distinsero due portavano la firma di Piero Operti. La prima, im-
mediatamente successiva all’uscita del volume, fu pubblicata sulla rivista «La Cultura»
diretta da Cesare de Lollis, «neutralista/intervenuto», uno dei firmatari del Manifesto
degli intellettuali antifascisti. Operti, comandante di plotone nella Grande Guerra, in-
valido, amico di Piero Gobetti, assiduo frequentatore di casa Croce negli anni Trenta,
«monarchico perché sempre stato antifascista», dava risalto all’alto spirito mazziniano
che ispirava la raccolta delle lettere dei combattenti. La seconda, apparsa su «La Vitto-
ria, giornale dell’Associazione nazionale fra mutilati e invalidi di guerra» nel numero 4
dell’ottobre 1934, rilevava come l’indagine di Omodeo riportasse l’esperienza del recen-
te conflitto alla sua drammatica quotidianità, lontana dall’eroismo convenzionale che
falsava l’umanità e il valore del sacrificio dei combattenti. Nel dicembre dell’anno suc-
cessivo infine, sulle autorevoli pagine di «Nuova Rassegna Storica», Alessandro Cutolo,
docente di storia medioevale all’Università di Roma, ne coglieva gli aspetti di novità di
fronte al profluvio della memorialistica intesa a narrare quegli anni (chiaro il riferimen-
to al romanzo di Erich Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale) come
di abbrutimento sopportati con cuore dolente e sotto la costrizione di paure maggiori.
Momenti della vita di guerra, sempre negli anni Trenta, ebbe invece una critica ta-
gliente da parte di Antonio Gramsci che già nel gennaio 1921 aveva avuto parole molto
dure nei confronti della piccola e media borghesia, la classe sociale protagonista del
volume di Omodeo, nel famoso articolo Il popolo delle scimmie apparso su «L’Ordine
Nuovo». Il fondatore del Partito comunista lesse il libro quando già si trovava in carcere
e lo commentò brevemente in uno scritto dal titolo non proprio elogiativo I nipotini
di padre Bresciani. Affrontando la letteratura di guerra criticava lo storico siciliano per
l’impostazione «angusta e meschina» della sua opera, dove l’esegesi della guerra mon-
diale era vista solo attraverso l’animo e i sentimenti della borghesia colta e istruita: «egli
è un epigono della tradizione moderata, con in più un certo tono democratico o meglio
popolaresco, che non sa liberarsi da striature “borbonizzanti”». (Antonio Gramsci, Let-
teratura e vita nazionale, Editori Riunti, 1971).
Il lavoro di Omodeo fu invece molto apprezzato e salutato con parole di sincero
entusiasmo da alcuni dei più stimati esponenti dell’antifascismo democratico in carcere
e al confino tra i quali gli ex combattenti Ernesto Rossi e Riccardo Bauer e il giovane
Vittorio Foa che lo poterono leggere però soltanto alcuni anni dopo, nel 1938, in un
clima culturale e politico ormai compromesso. «Che cosa grande è il libro dell’Omodeo!
– scriveva Rossi alla moglie Ada – Altro che statue, obelischi, e torri, e lapidi e “parchi
della rimembranza”! Questo è veramente il monumento più degno che potesse erigersi
alla memoria dei nostri caduti E gli italiani par quasi non se ne siano neppure accorti.
Uscito nel ’34 il libro è ancora alla prima edizione. Che vergogna!». Anche Foa ne diede
un giudizio molto lusinghiero condividendo in pieno lo spirito della ricerca: «I giorni