Page 13 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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XII Momenti della vita di guerra
dallo spirito patriottico dei volontari garibaldini. Sentimento condiviso nelle manifesta-
zioni a favore dell’intervento da migliaia di giovani che poi, con esemplare coerenza ideale,
combatterono e spesso lasciarono la vita nelle trincee, sulle Alpi e nelle doline del Carso.
Costoro, nella gran parte ufficiali di complemento, erano legati dal richiamo al senso
del dovere, dal sogno comune dell’aspirazione di una giustizia tra i popoli che si coniugava
colla profonda ostilità verso l’Austria onta de i secoli, patrimonio ideale di quella importan-
te e indistinta galassia erede del movimento mazziniano. In Omodeo poi, che si professava
addirittura figlio di Mazzini, questi fondamenti dell’interventismo risorgimentale erano
ancora più intensi. Si può dire rappresentasse davvero una figura esemplare di quel movi-
mento liberale e democratico (dalla rumorosa minoranza dei nazionalisti e dagli irreden-
tisti si tenne sempre distante) che s’impegnò per la dolorosa necessità della partecipazione
al conflitto perché «l’annientamento assoluto d’Italia sarebbe stato, in qualsiasi caso, la
conclusione della guerra europea senza il nostro intervento. Allora – scriveva ne «L’Educa-
zione Nazionale», 15 maggio 1920 – vi fu il risveglio della tradizione del Risorgimento in
uomini che finalmente, dopo aver lungamente errato a tentoni, raggiungevano la posizio-
ne di una politica nazionale. Si volle e s’improvvisò la guerra per non morire come Italia».
Da qui la sua ammirazione per la poesia civile di Giosuè Carducci. Sono numerosi
in Momenti della vita di guerra e in molti altri suoi scritti, come ha notato Roberto Perti-
ci (Preistoria di Adolfo Omodeo, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 1992)
i riferimenti al «vate» che, con parole cariche di rimpianto in occasione della morte del
generale Garibaldi, aveva decretato la fine di un’epoca: «La epopea della nostra gioven-
tù, la visione ideale degli anni virili, sono disparite per sempre. La parte migliore del
viver nostro è finita». Questa visione pessimista sembrava contagiasse anche le dina-
miche familiari, parte integrante, insieme alla scuola, dell’educazione patriottica della
generazione del 1915. Non erano infatti i genitori, in particolare i padri, gli esempi che
si potevano prendere come punto di riferimento, perché non avevano potuto parteci-
pare all’epopea del Risorgimento essendo nati troppo tardi, a loro anzi si rimproverava,
come abbiamo visto, di aver dissipato il patrimonio spirituale delle lotte eroiche per
l’indipendenza. Modelli divenivano invece i loro predecessori, vale a dire i protagonisti
e i costruttori di quel mito. (Elena Papadia, Di padre in figlio. La generazione del 1915,
Il Mulino, 2013). Un analogo percorso formativo seguì anche Omodeo: rientrato con
la famiglia a Palermo nel 1906, quando aveva dunque diciassette anni, ebbe modo di in-
contrare e frequentare uno zio materno, l’ingegner Francesco Calandra, garibaldino in
gioventù e da lui, che ascoltava con venerazione, raccolse il testimone dell’amor di patria.