Page 129 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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80    Momenti della vita di guerra

               M’indugio in questa parola che disperavo qualche giorno fa di poter scrivere più,
             nella disperazione d’una rinuncia tremenda.
               E invece l’ho trovato, il mio Pinotto, guidato a lui da una mano non misteriosa,
             no, ma evidente, la mano di Dio grande che ringrazio con tutta l’anima mia ogni
             giorno che passa e che il sogno diventa realtà, realtà vissuta.
               Mentre vi scrivo, è di là: sento la sua voce che dà ordini (ordini di capitano), e
             una gran volontà di piangere mi prende: i nervi s’allentano finalmente, dopo i giorni
             passati, e il cuore prende il sopravvento sulla ragione, e si commuove, questo gran
             cuore fatto ad immagine vostra, o cari!
               Devo raccontarvi? ma come faccio? mi pare di non ricordarmi più di nulla: le
             fatiche,le privazioni, il freddo, la fame sofferti, chi li ricorda più?
               Sono vicino a lui, insieme con lui, lavoro con lui: l’ammirazione di cui è circon-
             dato come di un’aureola bella prende anche me nella sua luce, ed io mi sento piccolo
             piccolo, io che non ho fatto nulla altro che vagare alla ricerca di lui e prepararmi ad
             una rassegnazione lenta, disperata.
               È quasi passato un mese da quando ho lasciato i miei compagni, diretti secondo la
             corrente impetuosa segnata dalla fuga e dal disastro, e, solo, decisi di tentare l’ultima via.
               Andavo contro corrente, verso la montagna, verso il fuoco, animato da non so
             quale fiducia; andavo verso Pinotto, verso il battaglione che sentivo era più su, ed ero
             sereno. Un sacchetto sotto il braccio, fradicio di pioggia, sporco come un pellegrino,
             disordinato come un pezzente. Trovai Allario col suo squadrone di cavalleria destina-
             to a proteggere la ritirata. Mi chiese dove andavo. «Vado su, devo trovare il battaglio-
             ne». «Buona fortuna! buona fortuna!» e via. Camminai molto, molto. Nella notte,
             mentre mi riposavo un po’ su un pagliaio, fui svegliato di soprassalto non so da chi.
             Gli austriaci avevano tagliato la strada al nord verso San Francesco. Bisogna ripiegare
             su Meduna, prima che taglino la strada anche al sud: la prima porta mi si chiudeva.
               Cammina, cammina. Mi giunge la voce che a Meduna sono arrivate le prime
             pattuglie: non si può più passare.
               Mi butto verso occidente (se non avevo la bussola ero perduto).
               Povero illuso! Mi pareva così breve la strada, così facile, sorretto dalla speranza!
             Andai non so per quante ore: ogni cresta superata, ogni valle passata non era che una
             prova superata! Ma ce n’erano tante e tante, e la solitudine così lugubre e la notte così
             paurosa, illuminata sul cielo a tratti da immense fiammate di scoppi e incendi lontani!
               Avanti, avanti.
               In un casolare trovai un caporal maggiore: era dei posti: mi si unì: il suo aiuto mi
             fu prezioso: guidato da lui arrivai nella valle del Meduna, a sud di Tramonti… Ero
             forse vicino alla salvezza.
               Puntando per Tramonti potevo salvarmi in Cadore e là avrei trovato le truppe
             della 56ª divisione… Tramonti era già occupata, Meduna al sud occupata, Tramonti al
             nord pure; ero quasi in trappola. Riprendo, disperato ormai di raggiungere Pinotto,
             la via dell’occidente. Ero stanco, coi piedi piagati, senza mangiare, ma mi pareva
             un delitto fermarmi: sentivo che con uno sforzo di volontà avrei vinto, e proseguii
             deciso: sarei morto, prima di arrendermi.
               Il caporale mi guidava sempre: non pensai che potesse ingannarmi; mi affidai a lui
             con vero abbandono, e lui mi guidava, senza che me n’accorgessi, verso la sua casa.
               Me n’accorsi troppo tardi.
               Dalla cresta che limita l’altipiano della Livenza mi apparve, verso le quattro, tutta
             la pianura immensa. Lui mi chiese di assentarsi un momento per un bisogno: se
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