Page 127 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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78 Momenti della vita di guerra
Il paese è Farra: tutto diroccato: ma tra le rovine fioriscono le rose (vecchi rosai
austriaci): il cannone non giunge che con un rombo lontano, di giorno e di notte,
ininterrotto…
Non dirmi che sono superbo, ma, credi, mi sono fatto onore .
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(2 giugno ’17, alla madre). I giorni brutti si dimenticano facilmente: violente
sono state le impressioni e altrettanto violento e trionfante il sentimento che ci ri-
attacca alla vita subito dopo lo scampato pericolo. Di quella sera e dei giorni pre-
cedenti ho un ricordo confuso, vago, come confusa è la mia testa che ronza e fatica
molto a connettere e a ragionare. Sono stati giorni brutti, mamma. Quante volte mi
sei venuta davanti! quante volte ti ho sorriso fissandoti negli occhi, perché, morendo
come credevo di morire, fossi tu negli occhi e nell’anima mia! e quando la morte
passava senza toccarmi, era una ricerca affannosa di altri visi, di tutti gli altri, un
mormorar parole di voto ultimo, un chiedere al Signore per voi tutto il bene e per
me una morte bella e degna. E la morte non è venuta!
Avevo assunto il comando della compagnia il giorno 22, dopo la morte del pove-
ro tenente Gallotti, avvenuta proprio vicino a me… Il colonnello Serra ha designato
me a sostituirlo: ho ubbidito e mi son trovato a comandare per la prima volta una
compagnia per l’attacco. Son convinto che in certi momenti in me c’è una forza
che mi ispira, mi aiuta, mi sostiene. Così è stato: l’11ª è stata la compagnia che si è
portata meglio, a riconoscimento di tutti. Ma tutti guardavano a me mamma; erano
tutti al riparo alla meglio, io solo ero allo scoperto perchè solo così potevo tenerli
uniti, e impedire che si sbandassero e abbandonassero la linea su la quale dovevamo
per consegna resistere o morire. Mamma mia, papà mio, chi è che mi ha protetto in
quel momento, non lo so: la terra pareva un vulcano, un succedersi d’eruzioni, di
tonfi, di scoppi, un volare ininterrotto di sassi, di schegge fischianti nell’aria… un
finimondo. Cadevano numerosissimi e l’aria si riempiva di gemiti, di urla, di pianti:
ero calmissimo, presentivo il disastro (che non è avvenuto nemmeno con quel fuoco
d’inferno!) e tenevo inchiodati gli uomini sul posto non so per che potere! Mi dissero
poi i colleghi quando tornai a sera, dal posto di medicazione, dove mi ero fatto cu-
rare di qualche contusione di sassi, che i miei soldati avevano avuto per me parole di
ammirazione, e per me avevano resistito! È stata l’unica, la vera grande sodisfazione
provata in questo periodo passato in trincea e in combattimento, soddisfazione di
cui ringrazio il Signore come per una grazia ricevuta .
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Da questo stato d’animo rifioriva sempre in lui una strana pace, malinconica e no-
stalgica, ma dolcissima in cui si rinfrancava e s’esaltava.
(Dalla stessa lettera). Ieri sera, per es., vicino alla baracca, c’era un crocchio di
soldati che suonavano canzonette napoletane accompagnando il canto di due o tre
napoletani autentici. C’eta tanta nostalgia in quell’onda di canzone triste! tanto de-
siderio accorato di pace, di casa nostra, di riposo! E chiusi gli occhi in una preghiera
profonda: «Dio, date pace agli uomini, riportateli gli uni nelle braccia degli altri, e
sia la concordia nuova più forte, più bella!…»
Ma mi rispose un rombo lontano; un costellarsi di shrapnells nel cielo all’inseguimen-
to di un aeroplano nemico mi interruppe la preghiera e rimasi muto, interdetto: «No,
prima bisogna far scomparire quegli uomini che non son degni di vivere con noi!» .
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