Page 134 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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VI. I giovinetti















            Molti incontrarono la morte prima che fosse sfiorita l’adolescenza.
               Le anime serbavano ancora la freschezza, l’ingenuità, il candore di chi fin allora è
            cresciuto ravvolto dall’affetto della famiglia, né ha sperimentato gli urti del mondo, e
            concepisce la vita adeguata ai sogni di poesia e alle speranze grandi. Distaccatisi dalle
            madri, si cacciarono nelle mischie sanguinose. Ma vissero la guerra con l’animo d’eroi
            di fiabe lontane, con la fede patria ingenua come la preghiera del fanciullo, con ardore
            degno d’antica poesia. Il concepire l’ideale come qualcosa di fermo, di realissimo che
            ha pieno diritto d’affermarsi tra le «cose parventi», l’ignoranza della possibilità d’esser
            vili, egoisti, l’incapacità d’intendere i bassi moventi di tanta parte dell’umanità, li fa
            trascorrere come assorti in un sogno lontano, e li delinea in una purezza efebica non de-
            formata. Han la nota spirituale che i grandi poeti eternarono in Eurialo, in Dardinello,
            in Medoro, in Pierino Rostow.
               La morte che li ghermì li ha fermati in una giovinezza che non soffrirà più pel tra-
            scorrer degli anni, nell’eleganza gentile di cui la natura riveste gli esseri nella prima età.
               Ma chi li riaccompagna con la mente nella breve e luminosa vicenda sente una tene-
            rezza paterna accorata. Sente l’amaro sacrifizio di queste vite che dovevan perpetuare la
            vita: prova un affetto simile a quello che dettava ad André Chénier l’elegia per la giovi-
            netta prigioniera votata alla morte, perché agli occhi degli uomini la vita nuova ha più
            forti e più santi diritti d’ogni altra. E se si considera che quei giovani così presto periti,
            avrebbero generato opere degne della loro aurora si sente la devastazione fatta intorno
            a noi e lo squallore della morte.
               Certamente una riflessione razionale può consolare: quelle morti gloriose son già
            frutti degni ed esempi e tradizioni della patria: la vita uscì vittoriosa. Ma tale serena-
            mento si compie solo in più austeri pensieri, in un men superficiale concetto della vita.
            In questo gettar nella fornace le creature ancora acerbe sperimentiamo la misura abissale
            della guerra, sentiamo il suo significato paurosamente sacro. In questa doppia visione,
            dello slancio giovanile e della tragica necessità del sacrifizio dei figli, s’intende che se la
            guerra può esser necessaria per la salvezza d’una vita nazionale esposta ai rischi supremi,
            a salvar ciò che è anche più sacro dei figli, in casi determinati, è vacua ed inumana la re-
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