Page 137 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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88    Momenti della vita di guerra

               Ti scrivo più a lungo del solito perché credo che tu sia sola, ed abbia più bisogno
             di me. Non credere, mamma, che io soffra: ora che ti scrivo mi sembra d’essere an-
             cora quel bambino che posò la testa sulle tue ginocchia quando il fotografo gli disse
             di prendere la posizione che voleva, e la poserei ancora adesso e sento che piangerei
             di dolcezza infinita .
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             Ma nei momenti lieti cercava di trasportare la mamma nella sua baldanza:

               (Parma, 1 maggio ’17). La vita militare è stata per me quello che si diceva fosse
             il fuoco per la salamandra. Mamma, è bello servire la patria perché si rappresenta
             come la mamma di tutti. Quando tornerò, sarà un giorno superbo: non ti lascerò un
             minuto libera: ti vorrò tutta per me .
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             Il conte Corrado Nerazzini confidava alla sua mamma:

               (9 agosto ’15). Le devo fare una confessione! Se non avessi avuto nessuno mi
             sarei fatto volontario per il taglio dei reticolati! Ieri nel sorteggio sentii un impeto
             di mostrarmi e chiedere… feci un passo avanti… mi parve di vedere il suo volto in
             lagrime… oh la mia mamma! Non ne ebbi il coraggio, per lei! .
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             Era il Nerazzini un candido figliuolo, che narrava disordinatamente, con sincerità ra-
          gazzesca, alla madre le sue prime impressioni di guerra, la sua prima ferita, l’onda tumul-
          tuosa dei sentimenti di guerra, l’orgoglio di famiglia, la baldanza del bersagliere.

               (23 luglio ’15). Sono impaziente di comunicarle che il mio battaglione è in prima
             linea. Forse per lei non è una notizia consolante, ma lo è per me. Coraggio! Per la
             patria noi soldati diamo tutte le nostre forze, e le nostre madri devono essere le prime
             a farci coraggio. Dunque, mamma, non stia in pena. In trincea si sta abbastanza bene
             e possiamo ripararci un po’ dai proiettili nemici che si fanno sentire. La notte è un
             po’ triste. Non c’è d’aver paura però. Ci siamo abituati tutti e non ci fa impressione.
               Le pallottole fendono l’aria facendo lo gnaulo d’un gatto. Io mi ci diverto, e
             stando in trincea mi pare d’essere nel casotto a caccia di colombacci. Provo quasi
             lo stesso entusiasmo. Solo il cannone mette un po’ di spavento. Sa a che distanza
             sono dal nemico? Nientemeno che a cento metri. Ieri mi misi vicino a una ve-
             detta e sparai due o tre colpi di fucile nelle trincee nemiche. Una di queste sere
             assalteremo. I prigionieri austriaci dicono che temono i soldati dalle penne e ci
             chiamano «i soldati gallina». Speriamo .
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              Raccontava con ingenuità un sanguinoso combattimento del novembre ’15 in cui
          rimase ferito: col rilassamento triste che seguiva le lotte più accanite.
               Le scrivo due righe dandole mie notizie. Ho combattuto tutta la giornata del 13
             (festa di Jole). Sono salvo ancora, ma ferito alla gamba sinistra, al ginocchio, da una
             pallottola nemica. Entrato in combattimento alle undici del mattino, sono stato fe-
             rito soltanto la sera alle sei. Al colpo sono caduto sfinito dal dolore. Ci siamo battuti
             sempre sotto la pioggia… Sono in un paesello, con un altro sergente ferito. Attendia-
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