Page 135 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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86 Momenti della vita di guerra
torica generica in favore della guerra per la guerra, per la guerra indeterminata, in forza
di una specie di fatale legge di natura, di cui, a cuor leggero, nel vuoto degli affetti, ci si
fa procuratori, quasi si fosse i sacerdoti di Moloch.
Nella storia della guerra italiana i giovinetti hanno una pagina immortale. Dopo
il rovescio dell’autunno del ’17 giunsero in reparti serrati i fanciulli del ’99. Le
precedenti leve erano state malamente disperse a colmare i vuoti, a costituire, alla
rinfusa coi veterani della Libia e del Carso, nuovi reggimenti. Tra la guerra sognata
e la guerra vissuta, i giovani avevano sentito immenso l’abisso. A contatto col ve-
terano, valoroso ma pessimista, spesso cinico, che si sentiva ormai sacro alla morte
ed era disposto a irridere a tutto, l’entusiasmo giovanile si contraeva, si smarriva:
subentrava un’angosciosa trepidazione, non per il rischio, ma per la fede. Oh an-
gosce delle responsabilità vissute da ufficiali fanciulli, che per la prima volta nelle
notti oscure prendevano la consegna del loro elemento di trincea, tra la curiosità
motteggiatrice dei vecchi soldati!
Ma, dopo il rovescio, i ragazzi giunsero – e fu fortuna – in reggimenti compatti.
I vecchi ufficiali della riserva, che bonariamente e paternamente li avevano istruiti, li
consegnavano nelle immediate retrovie agli ufficiali di linea. I giovinetti si guardava-
no intorno incuriositi, quasi orgogliosi che fosse venuto il loro turno. Riempivan di
cartucce le giberne e correvano verso l’ansa di Zenson ad arginare il nemico che aveva
forzato il Piave. Era come se un bagliore di primavera avesse traversato d’improvviso la
tragica bruma di quel novembre. E per uno di quegli strani mutamenti d’animo, che
costituiscon l’enigma della guerra, qualcosa si sedava negli scorati superstiti della rotta:
la disperazione, la sfiducia, la volontà di recriminare, che non sapendo su chi appuntar-
si, inveleniva tutti i rapporti, di colpo cessavano: succedeva una strana calma risoluta:
come chi, dopo vinto l’affanno della prima salita, riprende con passo più ritmico e
fermo l’ascensione. Nasceva un secondo animo di guerra, più omogeneo, più taciturno,
più risoluto, che generò la vittoria. Questo, in gran parte, fu dono di quei fanciulli del
’99, oltre il loro singolare slancio e il loro sacrifizio.
Ma anche prima del rovescio i giovinetti avevan sanguinato sulle Alpi e sull’Isonzo.
A tutti i motivi di cultura e di sentimento che, nelle classi elevate, spingevano in linea,
in essi se ne aggiungeva uno nuovo. La guerra era per quegli adolescenti la prova d’ani-
mo virile, l’iniziazione solenne alla vita coi doveri militari, un orgoglio di crescenza e di
dignità nuova. Uno di essi, Enzo Valentini, fermava incisivamente, in una lettera ad una
zia, questa maturazione intima, quasi fatto naturale.
I tuoi elogi sono eccessivi. Non è mio merito quello che ho fatto, perché è stata
una gioia della mia anima espressa in un atto, e non un doloroso frutto del mio
cervello .
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