Page 57 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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          punto saliente della zeppa. Non è difetto del documento, ma della mente storica; non
          si corregge col cinismo, ma con più elevata equanimità.
             Anche il rivolgere la nostra attenzione sopra tutto al materiale edito non è senza una
          sua giustificazione. Accettiamo il criterio della pubblicazione come una prima sia pur
          grossolanissima cernita, proprio come quella prima cernita che costituisce gli archivi.
          Indubbiamente, una ricerca nell’inedito renderebbe ancora immensi tesori di vita mo-
          rale; ma quello che si è pubblicato, pur essendo un esiguo frammento, è materiale scel-
          to; ci presenta, se non tutto il meglio, un frammento del meglio. Certamente, converrà
          sempre tener presente che questo momento di superiore vita morale, di più salda fede
          non si deve estendere genericamente; faremmo torto agli animi migliori se dimenticas-
          simo che gli entusiasmi e le fedi eroiche, il sereno cosciente sacrifizio non erano cose
          comuni e volgari neanche nell’esercito combattente, e che la grandezza dei migliori
          consisté proprio nel permeare una materia spesso avversa, nel contrastare e nel vincere
          le inerzie, i torpori, le paure che son presenti in ogni esercito, come Tersite nel campo
          acheo. Non sarebbe giusto dir con Carlo V «Todos, todos caballeros». Nel caso nostro
          non si tratta di slanci lirici che sorvolino senza impedimenti, come una lieta fanfara,
          la realtà, ma di operosa e travagliata passione patria, di coscienza fiera del dovere, che
          si apre con dolore la via. E talora lo slancio faticava ad affermarsi, talora si chiudeva
          diffidente in se stesso, schivo di parole, fastidito d’ogni pompa e amaro nel giudizio
          verso gli uomini; salvo a prorompere impetuoso nel momento supremo. V’è quindi
          anche una resistenza pigra: ma essa, a ben considerarla, non è protagonista di storia; è il
          momento della pura natura che è eternamente vinta e piegata in tutto il corso della sto-
          ria umana. La non volontà, quella che non si potenzia in un ideale, e non diventa, per
          questo ideale, positiva volontà, è un limite, un ostacolo inerte, una misura, se si vuole,
          delle forze operanti: come la pietra che potrà servir di base a un tempio, che franando
          potrà seppellire l’uomo, ma non è protagonista di storia, se la storia si rivela a noi quale
          coscienza dell’attività creatrice dell’uomo . Gli è per questo incentramento della storia
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          nelle forze operose, negli ideali viventi e animanti, che il pensiero storico, nella visione
          della perenne operosità costruttrice, pare inclinare all’ottimismo, mentre la lentezza, la
          dissipazione di sforzi continui, oltre le previsioni e le speranze nostre, danno spesso un
          senso amaro della vita a chi opera e combatte.
             Questo incentramento della storia nelle personalità viventi ed operose, considerate
          anima d’una pigra mole, è condizione essenziale della storia, anche per quegli indirizzi
          che amano concepire sociologicamente la realtà, come conflitti di ceti e di classi. Ad un
          certo punto, classi, ceti, nazioni s’esprimono e si rappresentano a se stessi in uomini di
          ricca vitalità; senza di essi, quei vasti corpi rimarrebbero mere potenze, da nulla fecon-
          date. Uomini rappresentativi, si dice; e la designazione può esser giusta nello scrupolo
          che altri animi consimili possano essere sfuggiti alla nostra ricerca. Ma la sfumatura
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