Page 58 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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Il retaggio dei morti 9
collettivistica non è esatta; se è vero che tutte le forme spirituali inferiori s’appuntano
in quel vertice, non è esatto dire che in tutti sia quel vigore e quel valore. Quelle forme
di vita, quegli ideali consacrati dall’offerta e dal sacrifizio, sono ciò che effettivamente
ha creato la storia.
Non è quindi ingiusto, contro ogni pretesa quantitativa, rappresentare l’esercito
operante come mosso dal cuore vivo dei suoi migliori, che soffrirono l’angoscia e la
responsabilità di tutti, che non disperarono nei rovesci, e nei loro ideali di patria e d’u-
manità trovarono il viatico per l’aspro cammino.
In un attento esame dei documenti, noi vedremo come le singole esperienze del-
la vita di guerra, pur tra le individuali divergenze di temperamenti, si assommano in
una serie di stazioni ideali del lungo calvario. E insieme avremo l’impressione che ci si
dissuggelli un pensiero segreto, una passione più riposta, sol che noi rievochiamo l’eser-
cito come ci apparve allora. V’era qualcosa di sottaciuto, una specie di diffidenza a far
mostra dei propri entusiasmi, una specie di ironia sottile, che talora pareva amarezza,
una tacita regola di galateo a dissimulare il proprio ardore, sí che spesso nelle lettere
risuonan lagnanze contro questa specie di scetticismo . Nelle lettere, invece, si rivela
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candidamente a quale altezza giungesse la passione di guerra. Siamo di fronte ad un
magnanimo pudore che a volta a volta fu la grandezza e la debolezza della nazione in
armi. La cosa si spiega per diverse cagioni. In primo luogo, si era parlato troppo du-
rante la preparazione, troppo declamavano i giornali con la buona intenzione di tener
su gli animi, perché non si determinasse una reazione di diffidenza contro la parola; si
affermava, su casi particolari, che troppi sostenitori dell’intervento al momento critico
avevano dato indietro. Poi effettivamente, dinanzi alla prova, si sentiva la temerarietà
dei discorsi; il cimento rendeva silenziosi. Mancava nella moltitudine degli ufficiali di
complemento quella specie di baldanza e di iattanza, che nasce dalla preparazione mi-
litare professionale. Ma, sopra tutto, la sobrietà di parola si determinava nel contatto
col soldato richiamato. Il contatto col soldato era il primo grosso problema, che si
affacciava al nuovo ufficiale. Erano due formazioni spirituali diverse . Le vie per cui
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l’ufficiale giungeva ad accettare e a volere la guerra, rimanevano chiuse al soldato, nel
quale il sentimento guerriero si ridestava a traverso un altro processo, più elementare, di
passioni ed istinti primigeni, in uno stadio, diremo, omerico. Al contadino richiamato
(in Italia la lunga civiltà ha troppo allontanato quella fase primitiva per cui la vita dei
campi è strettamente affine alla vita di guerra, e Marte è insieme il dio delle messi e il
dio delle armi), al contadino dispiaceva che la guerra potesse essere per qualcuno cosa
voluta ed argomento di giubilo.
Pel suo sentimento, la guerra era un male, un castigo dei peccati, che solo la
Vergine poteva deprecare. Ma, una volta scatenatosi il flagello, lo accettava e lo sop-
portava virilmente, come il buon agricoltore regge alla tempesta e al solleone. Poi un