Page 92 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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Crisi d’anime 43
viene sempre con l’ultima corsa; ma io son sicuro che tu ti sarai dimenticato dei torti
avuti con te, e che mi avrai scusato .
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Il padre cerca di tranquillarlo, vuol negare i presunti torti. Il figlio torna ad accusarsi
più risoluto:
(29 dicembre ’17). Il tuo immenso affetto paterno ti fa risaltare in me dei meriti
che non ho il bene di possedere. È inutile che tu cerchi di farmi svanire dalla mente
certi torti: no, amatissimo papà, tu mi riprendevi troppo amorevolmente; sono io
che non ti ho mai corrisposto come meritavi. I tuoi ammonimenti erano giustissimi,
essi non avevano che un unico scopo, quello di rendermi migliore: fu mia la causa
se non seppi abbastanza considerare tali tesori. Ti assicuro e ti prometto che quando
ritornerò saprò apprezzarti di più e mi renderò degno di te. Vedrai che questo nuovo
genere di vita mi gioverà molto e mi formerà il carattere .
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E la cara immagine paterna gli balenava dinanzi agli occhi in una visione familiare,
pochi giorni prima di morire, nelle trincee fangose di Capo Sile:
(9 gennaio ’18). In questo momento che ti scrivo, mi sembra di essere ancora a
casa, di vederti tornare dal faticoso lavoro, sedere a tavola assieme alla nostra amata
famigliola, con quel sorriso e con quel dolce sguardo che rispecchiano la bontà e la
lealtà dell’animo tuo. Come vorrei che tornassero indietro quei giorni per baciare iI
tuo caro volto e dirti tutto il bene che ti voglio! .
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Quei giorni non tornarono. Una settimana dopo Melchiorre Spongia cadeva.
Quando a Brescia si conobbe la sua morte, la signora Giulia Facchetti D’Anna, che
era stata la prima maestra dello Spongia, consegnò alla famiglia una lettera testamento
che l’antico scolaro le aveva affidato sul punto di partire. Era, con qualche sfumatura
di baldanza bersaglieresca, l’effusione dell’anima che si era levata all’altezza del dovere
nell’ora grave per la patria. La grandezza d’animo ha la misura dello stesso sforzo ad
affermarsi:
(Brescia, 9 dicembre ’17). Carissimi, in quest’ora benedetta, in attesa di bat-
termi per la nostra cara e santa patria, atrocemente calpestata da piede nemico, a
voi, miei amatissimi, il mio più tenero e affettuoso pensiero, dal quale attingerò
gran forza morale per essere degno figlio d’Italia. La voce del dovere s’innalza
imperiosa e imponente a chi ancora non ha compiuto ciò che di più sacro alla
patria deve.
Io sono pronto, tranquillo e sereno, cosciente del sublime e grande compito che
mi è affidato, ed aspetto religiosamente la grande ora.
Ho la certezza di adempiere a tutti i miei doveri fino all’ultima goccia di sangue
che mi resterà nelle vene; sicuro che la vostra memoria e il vostro nome contribui-
ranno efficacemente a non venir mai meno, di un solo attimo, al mio dovere, e mi
daranno forza e coraggio per vincere nei momenti più critici.
Né pianti, né lagrime, né lutto voglio, s’io non dovessi più tornare. Le lagrime
dovranno esser di gioia nel giorno in cui la vittoria sarà nostra, e da quel felice dì io
sarò con voi presente.