Page 95 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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IV. Spiriti militari
















          A chi da un osservatorio guardava la linea carsica segnata solo dalle fasce fulve dei reti-
          colati, squallido paesaggio dove più non cresceva l’erba, e dove le granate parevan fiorire
          silenziose in un vasto garofano di fumo grigio (e lo schianto giungeva in ritardo all’udito,
          come vano tentativo di vincere il lugubre silenzio); a chi percorreva la trincea piena di
          larve d’afflitta umanità, segnate dalla sofferenza delle veglie notturne e delle piogge impla-
          cabili, dall’angoscia repressa, ma pur sempre presente, della vita in pericolo, dallo spasimo
          delle responsabilità che vinceva le sofferente e le angosce e serrava forte le mascelle; a chi
          s’affisava in questo singolare volto della guerra, sorgeva spontanea la domanda dove fosse
          dileguata quella nota di poesia che un tempo faceva bello il combattimento pur nell’orrore
          di morte, e per cui il guerriero si sentiva elevato in una cima solitaria, e giubilava d’una
          gioia più intensa, modello d’un’umanità che ha superato i suoi limiti.
             Allora era nella guerra il giubilo dell’operare: un’alacrità simile a quella dell’alpinista
          che fatica ma ascende, e nell’ascensione ha la misura delle sue forze, e l’orgoglio d’un
          dominio che sensibilmente si delinea nel rimpicciolirsi del mondo umano guardato dal
          monte, e nel connubio panico con la vetta che si slancia potente nel vasto cielo. Così
          un tempo, al soldato, l’umanità volgare si dispiegava piccola e angusta: egli si sentiva
          animato d’un più alto diritto di supremazia e suggellato d’un segno di nobiltà. E questa
          grande poesia della guerra giungeva a travolgere uno spirito cristiano come il Manzoni
          e gli dettava il primo coro dell’Adelchi.
             Ora tutto ciò pareva estinguersi nella guerra di trincea. Al patire non corrispondeva
          il momento dell’azione in cui si compiva la purificazione dal dolore e dalla morte. Il
          ritmo fra i due momenti era di tal vastità che innumeri vite restavano sotto il segno del
          patimento senza luce, e mancava loro l’esperienza della fecondità della dura prova. Sva-
          nivano lontano i sogni di gloria. Un ufficiale di carriera constatava malinconicamente:
               L’epopee napoleoniche son finite con lui… Finito il tempo dei Murat, dei Nino
             Bixio: l’uomo è divenuto atomo fra gli atomi… Questa non è guerra d’eserciti, è
             guerra di popoli: vien combattuta più con la resistenza civile che con geniali imprese
             guerresche, e dev’esser questa la ragione per cui, tra tante nazioni e tanti milioni
             d’uomini, non sia sorto un genio guerriero tale da conquidere, travolgere, abbattere
             in un colpo solo ogni più studiata resistenza .
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