Page 87 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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38 Momenti della vita di guerra
(19 maggio ’16). ‘Un e’scrivi mai: o che fai? Stai tutto il giorno a ponzar teoremi?
E dio, quando la smetti?
Quando la guerra la facevano i letterati, hai visto? «O magnanimi figli d’Alcide»,
bastava una poesia, un maestro zoppo, e la guerra era finita. Ora che ci son entrati di
mezzo gli scienziati ’un si finisce più .
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Un altro suo collega, che desiderava di esser chiamato alle armi, ma prevedeva e te-
meva d’essere riformato per la forte miopia, gli scriveva che gli sarebbe persino piaciuto
di fargli da attendente. Rimbeccava il Cambini:
(2 aprile ’16). … Il mio attendente è un bravo ragazzo: e non sento il bisogno di
cambiarlo: poi a che vuoi sia buono un attendente professore? .
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E simile a Fanfulla penitente s’impegna per scherzoso dispetto verso l’amico a dire
un’Ave Maria perché la riforma sia definitiva:
(5 maggio ’16). Dirai, ti prego, alla tua signora, che stasera dirò anch’io una Ave
Maria secondo la sua intenzione: e credi che ci sarà gran festa in Paradiso, come
succede sempre, dicono, quando si converte un peccatore.
Ma io non mi converto mica, sai, e la tua Ave Maria sarà la prima che dico da
quando son venuto in guerra .
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Durante l’attesa, nell’estate del ’16 fa venire a Cava Zuccherina la famiglia e si
mette ad insegnare il latino al figlio maggiore. L’attesa si fa più ansiosa e più tor-
mentosa per l’angoscia della moglie. Finalmente nel maggio del ’17, quando classi
più anziane vennero lanciate nel crogiolo, giunse l’ordine. La crisi dei due doveri era
superata. Il Cambini si leva in tutta la sua fierezza generosa in una lettera a un collega
che aveva perduto un figlio nei combattimenti del Trentino nel maggio del ’16:
(Crespano Veneto, 29 maggio ’17, al prof. Agostino Savelli). So che hai notato, e
con dispiacere, che io non ti ho più scritto un rigo dall’anno scorso: so che ti sei stu-
pito, in qualche modo, che, dopo aver partecipato così vivamente alla tua incertezza
angosciosa, io mi sia chiuso in me, dopo che hai saputo.
Tante volte, sai, tante volte, l’anno scorso ho incominciato a scriverti: tante volte
ho pensato di farlo quest’anno.
Non ci riuscivo: non sapevo: mi sembrava che non fosse né degno né bello dirti
da Cava Zuccherina le parole di forza e di orgoglio, che ti dovevo.
Avrei voluto, abbracciandoti forte, dirti quanto invidiavo il tuo Cucca , che aveva
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potuto, serenamente, gioiosamente, dare la vita sua per l’Italia: avrei voluto dirti che
l’anima sua, che l’anima del mio caro figliolo, avrebbero vissuto con me in que-
sta nostra santissima guerra, che con me, e in me, avrebbero ancora combattuto: e
avrebbero vinto.
Queste parole io non potevo dirti da Cava, da dove potevano forse suonarti come
una fanfaronata stupida, o una vanteria vigliacca d’imboscato. Né te le scriverei oggi,
se già non avessi avuto l’onore di comandare in linea il mio reparto: se, dopo cinque
giorni di attesa in un battaglione della brigata Arno, non mi fosse oggi giunto l’ordi-