Page 83 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
P. 83
34 Momenti della vita di guerra
Ma la guerra non tarda a mostrare al Cambini il suo duro volto implacato. Al termi-
ne del primo mese cade al fronte il fratello minore Raffaello, ch’era stato da lui educato.
Il giovane sottotenente, uscito dalla trincea una prima volta, aveva esplorato il terreno;
uscito una seconda volta con una pattuglia di volontari, aveva fatto saltare i reticolati;
esonerato perciò dal partecipare al combattimento, aveva rifiutato: non aveva voluto
lasciare il suo plotone al momento del rischio, ed era morto, mentre metteva al riparo i
suoi soldati, d’una spoletta che l’aveva colpito alla testa.
Il fratello maggiore lo pianse con accoramento, e col suo dolore effuse una nota di
poesia gentile. Quando il suo gaio temperamento si risollevava, a mezzo dello scherzo
e della risata risorgeva il pensiero di colui che riposava nel cimitero di Pieris. A quel
pensiero si mescolava un senso di sgomenta venerazione. Tanto grande era il cuore di
quel fanciullo, di tanto era capace quel ragazzo che il fratello maggiore aveva presunto
d’educare autoritariamente e con una certa rudezza? Nell’accorata ammirazione avveni-
va un capovolgimento: l’educatore sentiva di doversi levare alla vetta ideale dell’educato.
Così il destino di Leonardo Cambini era segnato.
Subito dopo la sventura scriveva ad un amico:
(Livorno, 20 luglio ’15). Come io sia oppresso, come io mi senta colpito, tu
sai meglio forse degli altri: da quattordici anni quel figliuolo era cresciuto affi-
dato alle mie cure, da quando papà, dopo la morte di mamma nostra, mi aveva
detto che egli non avrebbe avuto più cuore di rimproverarlo, di gastigarlo; e mi
era cresciuto buono, affettuoso, austero, gagliardo e ardimentoso. Perché era
pieno di ardimento, sai, quel figliuolo: pieno di coraggio sereno e consapevole,
che non si ammantava di frasi, e si nascondeva, quasi, specialmente agli occhi
nostri, perché noi non tentassimo di smorzarne gli entusiasmi. Ed ora che è
morto, io penso con rimpianto vivo, che molto più utile sarebbe stato, sia pure il
suo sacrifizio, alla Patria nostra, se non lo avesse colto così presto la granata che
ce l’ha sfracellato.
E così, mio buon Rosati: e non è mica vero, sai, che io dissimulassi la inquietu-
dine dell’animo mio. Io ero tranquillo, ero sereno: mi sembrava di essere sicuro che
al mio ragazzo non sarebbe stato fatto niente di male. Sì: una ferita: quella l’avevo
messa in conto: ma, più che altro, per averne il pretesto di tenermelo un paio di
mesi in casa.
E i primi giorni della mia vita di ufficiale novellino, io li ho vissuti sempre con
lui, pensando a lui, a quel che avrebbe egli riso, se mi avesse visto marciare sba-
gliando il passo o fare il saluto a gambe larghe: e quella mattina stessa, io mi ero
goduto l’ultima parte della mia tattica, rimuginando nella testa la lettera che gli
avrei scritto, per raccontargli come avevo fatto perdere la mia compagnia in mezzo
alle macchie di Limone, e venivo su allegro e spensierato, ripescando la frase per
farlo ridere e per tenerlo di buon umore… E poi tutt’a un tratto, un cavallo che
mi viene incontro, a spron battuto, mio fratello che mi corre incontro urlando, e
poi… .
6