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Scenari Sahariani – Libia 1919-1943 “La via itaLiana aLLa guerra neL deserto”
sia all’andata che al ritorno, per poi attraversare da sud a nord il Gran Mare di
Sabbia, raggiungere la costa a Marsa Matruh e di qui rientrare al Cairo per un
totale di oltre 10.000 km dei quali la metà in territorio inesplorato. Lo stesso
anno anche Almásy tornò al Gilf Kebir e al Gebel Auenat, ma fu la sua ultima
spedizione. Dichiarato persona non grata dagli italiani e guardato con sospetto dai
britannici, dovette per il momento rinunciare alle sue scorribande nel deserto
dedicandosi all’attività di istruttore di volo, e nel 1938 sarebbe tornato in
Ungheria. Bagnold fu invece protagonista nel 1938 di una missione scientifica
intesa tra l’altro a validare con osservazioni sul terreno i suoi studi sui movimenti
delle dune sotto l’azione del vento. Anche questa volta l’itinerario toccò il Gilf
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Kebir, di cui l’inglese approfondì l’esplorazione, e il Gebel Auenat, oltre al Mare
di Sabbia di Selima.
Il risultato più significativo di queste esplorazioni fu quello di completare la
conoscenza del deserto libico-egiziano e di individuarvi dei percorsi praticabili
per i mezzi automobilistici, maturando nel contempo un’importante esperienza
di tema di navigazione in regioni desertiche. Non a caso molti dei protagonisti
di parte britannica avrebbero militato durante la guerra nelle file del Long Range
Desert Group, mentre Almásy avrebbe avuto un ruolo importante nell’ambito
dell’Afrika Korps per il quale portò a termine nel 1942 l’operazione Salam, con
l’obiettivo di infiltrare in Egitto, attraverso quel deserto che conosceva così
bene, due agenti dell’Abwehr. Di contro, dei principali protagonisti italiani,
per uno strano destino né l’allora comandante dell’Aeronautica della Cirenaica,
colonnello Roberto Lordi, né il maggiore Orlando Lorenzini e il parigrado
Ottavio Rolle, i due ufficiali del Regio Esercito impegnati all’epoca a presidiare
quel remoto angolo della Libia, avrebbero più avuto alcun ruolo nel teatro
operativo nordafricano, né tantomeno lo avrebbero avuto Desio e Caporiacco.
Il “grande gioco” che si era svolto nelle profondità del deserto, e che solo in
apparenza si era concluso con la definizione delle linee di confine, aveva intanto
confermato l’esistenza nella Libia italiana di uno strumento aeroterrestre in
grado di rispondere al meglio alle esigenze di polizia coloniale e di controllo
del territorio, costruito nel tempo sulla base delle esperienze maturate durante
i cicli operativi di controinsurrezione. I reparti sahariani stavano cambiando
fisionomia, e il pur prezioso mehari, che tanta parte aveva nell’iconografia e
nell’immaginario collettivo, veniva gradualmente sostituito dal mezzo ruotato.
Accanto al Romeo Ro.1, un biplano biposto a struttura metallica che aveva dato
ottima prova nelle ultime fasi della “riconquista”, erano disponibili autoveicoli
che permettevano di fare a meno dei dromedari fino ad allora dominatori
incontrastati dei grandi spazi desertici. Dopo le prime prove fatte nel 1931 sul
139 A. GOUDIE, Wheels Across the Desert op. cit., p. 129.
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