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Scenari Sahariani – Libia 1919-1943 “La via itaLiana aLLa guerra neL deserto”


            anche uno dei due prigionieri di Traghen, il carabiniere Carboni, che però se ne
            era presto allontanato, preferendo tentare la sorte da solo, e il 5 febbraio era stato
            fortunosamente trovato e tratto in salvo dal Ghibli del sottotenente Rota.

               Degli altri tre prigionieri al seguito della pattuglia “T”, durante il combattimento
            era stato liberato il 1° aviere Scollo catturato a Murzuch, era rimasto ucciso
            l’ufficiale postale Colicchia e sarebbe invece morto a Cufra il brigadiere Spina,
            l’altro prigioniero di Traghen. Di lui Mattioli volle segnalare nel suo rapporto
            come, benché ferito gravemente da cinque pallottole di mitragliatrice, si fosse
            preoccupato fino all’ultimo di fornire tutte le informazioni possibili in merito
            alla colonna britannica e alla spedizione contro Cufra che si stava preparando.
            Quanto al materiale, a fronte  del  FIAT abbandonato, la “sahariana”  poteva
            elencare tre autocarri Chevrolet distrutti e l’autovettura Ford catturata, insieme
            a una mitragliatrice Vickers, due Lewis, tre fucili, un tromboncino lanciagranate,
            una  cassa di bombe  a mano, una  scatola di detonatori, un teodolite, carte
            topografiche e documenti.
               L’esito  dello  scontro di Gebel  Sherif sembrava confermare tutti  i timori
            suscitati  in  Clayton dall’incontro  con Lorenzini  al  Gebel Auenat nell’ormai
            lontano  1932. L’organizzazione “sahariana”  degli italiani  si era  dimostrata
            efficace, con una combinazione di automezzi armati e velivoli da ricognizione e
            bombardamento leggero in grado di sfruttare al meglio l’attività di sorveglianza
            elettronica per ingaggiare e contrastare con efficacia gli incursori del LRDG,
            pur montati su veicoli di prestazioni superiori. Per poter essere efficace, una
            tale  organizzazione  richiedeva però  che tutti  i suoi elementi  rendessero al
            meglio delle loro possibilità, e che l’azione di comando fosse improntata alla
            massima determinazione  e  fondata su  una buona  conoscenza del  proprio
            strumento operativo, delle probabili caratteristiche dell’avversario e della natura
            dell’ambiente.  Al  Gebel  Sherif  questo  si  era  verificato,  ma  non  era  un  fatto
            scontato e l’immediato futuro stava per dimostrarlo.
               Dai documenti venuti in loro possesso, come pure dalle dichiarazioni  dei
            neozelandesi catturati e dei prigionieri liberati, i comandi italiani si fecero un’idea
            piuttosto chiara della situazione, così come emerge da un telegramma inviato dal
            maresciallo Rodolfo Graziani al Comando Supremo il 2 febbraio 1941. Dopo
            aver brevemente ricapitolato gli avvenimenti, il comandante delle forze italiane
            in Africa Settentrionale ne dava un’interpretazione in cui all’apprezzamento della
            situazione militare si accompagnava la convinzione che l’avversario cercasse di
            riaccendere la ribellione:

                     Da quanto  sopra rilevato:  1°)  su  precedente  incursione  Murzuch hanno
                  operato elementi francesi et inglesi riuniti di cui comandanti sono: uno morto
                  at Murzuch (Ten. Colonnello d’Ornano) et uno prigioniero (Maggiore Clayton).


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