Page 43 - Scenari Sahariani - Libia 1919-1943. La via italiana alla guerra nel deserto
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Controguerriglia e Controllo del territorio
del dopoguerra. Eritrei e libici, reclutati su base volontaria con una ferma iniziale
di due anni, eventualmente rinnovabile, avevano esigenze minori e costavano di
meno anche come paga. Secondo i regolamenti del 1926 a un soldato italiano
in Libia spettava una paga giornaliera di 2,25 lire, con un supplemento di 3,50
per il servizio in colonia, mentre la paga giornaliera di un ascari di prima ferma
era di 1,50 lire, che diventavano 1,75 nella prima rafferma biennale e 2,00 nella
successiva, oltre a un soprassoldo di una lira al giorno per i periodi di servizio
prestati al di fuori della colonia di provenienza.
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Il fattore politico e quello economico non sarebbero stati sufficienti e dettare il
ricorso ai reparti reclutati sul posto o comunque in colonia se non vi fossero stati
anche altri fattori che investivano la loro efficienza in combattimento. Agli occhi
degli ufficiali italiani che avevano una qualche esperienza di colonia, questi reparti
si erano dimostrati più resistenti all’ambiente e più duttili e agili di quelli nazionali,
e i battaglioni eritrei in particolare potevano vantare una fama di aggressività e
affidabilità che datava ai tempi delle operazioni contro gli abissini e i dervisci.
Meno unanimi erano i giudizi sui libici, berberi o arabi che fossero, ritenuti però
in grado, se ben inquadrati, di fornire anch’essi un elevato rendimento.
Forte della sua esperienza, Mezzetti era in grado di illustrare con precisione
le caratteristiche salienti dei reparti che aveva avuto ai suoi ordini in colonia,
a cominciare da quelli nazionali, dei quali sottolineava innanzitutto la minore
resistenza nelle marce, che imponeva di limitarle a tratte di non più di 20 o
25 chilometri al giorno, aggiungendo che, pur dando le massima garanzie di
affidabilità e di tenuta in combattimento, finivano con il rappresentare «la parte
più delicata e vulnerabile della colonna», sia perché erano poco propensi a
combattere in ordine sparso, sia soprattutto perché il loro comportamento molto
influiva su quello dei reparti indigeni, con il risultato che un loro cedimento
poteva avere conseguenze disastrose. Gli eritrei, ottimi marciatori dai quali era
possibile pretendere e ottenere fino a 50 chilometri al giorno, erano più a loro
agio sui terreni montagnosi e rocciosi che non su quelli soffici e sabbiosi, e
mal sopportavano il grande caldo e la scarsezza d’acqua, ma erano guerrieri di
prim’ordine:
Ottimi combattenti, gli eritrei sentono nella lotta agitarsi svilupparsi in loro,
sino al furore, gl’istinti belluini di una razza guerriera. Sono perciò d’impiego
sicuro e di grande rendimento. Talvolta l’intervento di una riserva, anche piccola,
di eritrei, può salvare le sorti di un combattimento. Essi inoltre, dalla perdita di
un capo, traggono incitamento alla lotta per la esasperata volontà di vendicarlo. 23
Di contro la loro disciplina di marcia lasciava molto a desiderare, per la
22 N. ARIELLI, Colonial Soldier, op cit..
23 O. MEZZETTI, Guerra in Libia op. cit., p. 43.
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