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2 Sessione - La memoria dei caduti 173
tutti funzionali al cimitero (capanna degli attrezzi ecc.). I cimiteri militari tedeschi
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invece furono presi in tutela da un’organizzazione umanitaria tedesca, la Volksbund
Deutsche Kriegsgräberfürsorge (Servizio di manutenzione delle sepolture militari tede-
sche), per via della mancanza di fondi e di una politica unitaria in una Germania che
nel dopoguerra affrontava una gravissima crisi finanziaria e politica. Sotto la guida
del celebre architetto Robert Tischler (1885-1959), il VDK raggruppò in poco più
di 4.000 cimiteri, talvolta di dimensioni ridotte, i corpi delle centinaia di migliaia di
soldati tedeschi caduti in Francia e Belgio, molti di loro inumati in fosse comuni. 14
Tuttavia, i governanti dei paesi belligeranti capirono ben presto che intere
“comunità a lutto” (communities in mourning) , che avevano perso mariti, figli e
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fratelli, nel dopoguerra non si davano pace, in alcuni casi continuando una ricer-
ca disperata del loro congiunto disperso. Il caso del soldato francese Anthelme
Mangin rimane negli annali: trovato nel febbraio 1918 alla stazione di Lione in
evidente stato confusionario e affetto da amnesia totale, il soldato Mangin (nome
d’ufficio datogli dai medici curanti) rimase senza identità per tutto il dopoguerra,
e questo malgrado un appello attraverso i giornali nazionali per ricongiungerlo
alla sua famiglia. Centinaia di famiglie lo riconobbero come loro caro, segno di
una ferita mai rimarginata di un intero settore della società francese. 16
In tale contesto, venne elaborata quella che il sociologo francese Maurice Hal-
lbwachs ha definito “memoria collettiva”, l’uniformizzazione delle memorie indi-
viduali in una memoria condivisa dalla nazione, allo scopo di conservare la società
stessa ed evitare una denuclearizzazione del tessuto sociale. Questo “culto dei
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caduti” , introdotto dalla Rivoluzione francese per motivare i soldati ad andare
13 Antoine Prost. «Les cimetières militaires de la Grande Guerre, 1914-1940», Le Mouvement Social,
vol. 237, no. 4, 2011, pp. 135-151, qui 147.
14 Marco Mulazzani, La foresta che cammina. Le sepolture dei soldati tedeschi, 1920-1970, (Florence:
Electa, 2020).
15 Jay Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning, (Cambridge: Cambridge University Press, 2014),
pp. 29-53.
16 Questa vicenda è stata narrata da Jean-Yves Le Naour, Le soldat inconnu vivant, (Paris: Pluriel,
2008). Più di 300 famiglie riconobbero in Anthelme Mangin un proprio famigliare, e la vicen-
da finì in tribunale fino all’inizio della Seconda guerra mondiale.
17 Maurice Halbwachs, La mémoire collective (Paris : Albin Michel, 1950).
18 George Mosse, Fallen Soldiers: Reshaping the Memory of the World Wars (Oxford: Oxford Univer-
sity Press, 1990), p. 63.