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ni. Boito coinvolse poi il Vittoriano nella questione dello stile nazionale ovvero
del linguaggio ufficiale del Paese. Non era una questione da poco, alla fine degli
anni ‘60 relativamente alla lingua, se ne era occupato Alessandro Manzoni in un
Paese ancora giovanissimo che mancava di coesione stilistica, che si era appena
impegnato nell’avventura coloniale. Serviva una guida, un modello di riferimen-
to, anche per questo Boito e altri al momento di scegliere l’architetto si orienta-
rono in favore del marchigiano Giuseppe Sacconi. Il progetto di Sacconi vincito-
re del secondo e definitivo concorso per il Vittoriano, aveva le qualità, i valori
adatti a quanto veniva allora richiesto. Sacconi guardò attentamente verso l’anti-
chità classica, in particolare verso i santuari descritti o realmente esistenti, che
sfruttavano un declivio, un colle per l’articolazione di terrazzamenti. Pensate al
santuario della Fortuna Primigenia di Palestrina, nulla di anomalo d’altro canto il
Vittoriano è contiguo e anche i ideale prosecuzione dei Fori Imperiali.
Sacconi fu anche particolarmente sensibile alla rivisitazione alle interpretazio-
ni che di questi stessi modelli classici era stata offerta nel corso del Rinascimento.
Bramante in particolare, aveva guardato al santuario di Palestrina e ad altri de-
scritti prima, allorché, siamo i primi del XVI secolo, aveva dovuto dare forma
concreta al progetto per il belvedere Vaticano. Anche qui ci troviamo dinanzi a
una serie continua di terrazzamenti percorribili sotto il profilo formale. Il senso
del Vittoriano di Giuseppe Sacconi è racchiuso nel concetto di recupero del
Rinascimento. A Roma già allora esistevano diversi precedenti. Negli anni ‘70
avevano ricoperto il ruolo di battistrada i due dicasteri voluti dal potente Mini-
stro delle Finanze Quintino Sella, lungo via XX settembre a due passi dal Qui-
rinale denominati “Palazzo delle Finanze” e “Palazzo Esercito”. Un particolare
importante, il Palazzo Esercito, con il suo potente cortile neo Rinascimentale e il
Vittoriano rappresentano una chiara manifestazione degli ideali non solo estetici
o architettonici che dominavano la capitale del giovane regno d’Italia. Attraverso
questo linguaggio, il Regno intendeva da un lato rileggere se stesso, dotarsi cioè
di una forte impronta identitaria e dall’altro lato intendeva proporsi in taluni casi
come nelle colonie. Più tardi un solco di questo genere sarebbe stato percorso da
Guglielmo Calderini fra l’altro nel palazzo di giustizia aldilà del Tevere a due pas-
si da Castel Sant’Angelo, anche qui, come accennato troviamo ampi riferimenti
lessicali di un Rinascimento maturo. “Politica estetica e linguaggio”, attraverso
il vittoriano Camillo Boito e Giuseppe Sacconi intendevano offrire un modello
concreto di cantiere neo rinascimentale come era accaduto tanto tempo prima
in Santa Maria del Fiore a Firenze e a San Pietro in Vaticano. Essi intendevano il