Page 47 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1944-1989) - Atti 27-28 ottobre 2004
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         FORZE  ARMATE  E SOCIETÀ:  IL  RITORNO  DEI  REDUCI  TRA  INDIFFERENZA  E RIMOZIONE
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            Mentre le esperienze di detenzione furono molteplici (nei diversi paesi, ma an-
         che  nei  diversi  campi),  il  momento del  rimpatrio presentò curiose analogie.  Nes-
        sun  paese detentore  mostrò  una  particolare solerzia nel  liberare i  militari  prigio-
         nieri  e  predisporre il  viaggio  cii  ritorno.  Erano altre  le  urgenze e  altre le  priorità;
         mancavano i mezzi  di  trasporto.  Continuò soprattutto a  fare molto comodo poter
        contare su  una forza lavoro a disposizione senza condizioni.
             Infine al  rientro ci  si  scontrò con la  difficoltà a comunicare la  propria esperienza
         c con l'incomprensione degli  altri  per le  vicende narrate.
            Né l'armistizio breve, né l'armistizio lungo stabilirono clausole per il  rimpa-
         trio dci  militari  italiani  prigionieri negli Stati Uniti.  Quindi, "tutto era basato sul-
         la  buona volontà degli Alleati  nel  restituire i prigionieri, non avendo alcun dirit-
         to  (l'Italia)  di  pretendere  il  rimpatrio.  Per  buona volontà si  deve intendere inte-
         resse  degli Alleati" (14).  Fino alla  metà del  1945, gli  Americani restituirono infat-
         ti  solo  un  numero  limitatissimo  di  prigionieri  invalidi,  malati,  anziani  e  alcuni
         tecnici  utili  per  la  ricostruzione  del  paese,  cioé  uomini  che  non  intaccavano gli
         interessi  economici  americani,  in  quanto  non  avrebbero comunque  potuto esse-
         re  impiegati cOllle  forza  lavoro,  ma che giovavano assai a  migliorare l'immagine
         che il  popolo italiano aveva  degli  Stati  Uniti  (15).
             La  fine delle ostilità sul fronte europeo non accelerò il rimpatrio sollecitato dal-
         l'Alto  Commissariato  per  i prigionieri  di  guerra.  Gli  americani  infatti  prevedevano
         che i prigionieri non potessero essere rimpatriati fino al  maggio 1946, in  quanto uti-
         li  per sostenere un ulteriore sforzo bellico fino  alla resa dci Giappone (16).  La propo-
         sta di mantenere lo status di  prigionieri di guerra nonostante la fine delle ostilità e di
         estendere la  cooperazione alla guerra contro il  Giappone non incontrò l'opposizio-
         ne del governo italiano. Sebbene questo possa sembrare "un assurdo militare, mora-
         le e giuridico", come fu  definito dallo stesso Gazzera (17),  la positiva risposta italiana
         fu  giustificata dai  possibili vantaggi politici di  cui l'Italia avrebbe goduto. Al  momen-
         to  di  firmare  il  trattato di  pace con gli  Alleati,  infatti,  in  favore  dell'Italia avrebbe


           (14)  Massimo  Coltrinari,  Enzo  Orlanducci, I prigionieri italiani degli  Stati Uniti nella seconda
        guerra mondiale, Roma, ANRI~ 1996, p.  197.
           (15)  L.  E.  Keefer,  Italiall  Prisoners o(War in America,  1942-1946: Captives or A/lies?,  Prae-
         ger  Publishers, New York,  J 992, p.  159.  Un  giudizio simile  è espresso anche da Coltrinari, Or-
         landucci, l prigionieri militari italiani degli  Stati  Uniti,  cit.,  p.197. Si  nota una discordanza ri-
         guardo al  numero dci prigionieri restituiti all'Italia: Coltrinari e Orlanducci parlano di 1000 pri-
         gionieri  (nel  periodo che va  dal  1942 al  1945),  mcntre  per  Kecfer  il  numero è  minore di  200
         unità (nella prima mctà del  1945).
           (16)  Conti, 1 prigionieri di guerra  italiani,  cit.,  p.  127. Su  questo  argomento si  veda  anche
         Coltrinari, Orlanducci, I  prigionieri militari italiani degli  Stati Uniti,  cit., p.  198.
           (17)  Conti, I prigionieri di guerra italiani, cit., p.  129.
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