Page 149 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale
te, disfatto sul campo di Austerlitz (2 dicembre 1805) e costretto alla pace di
Presburgo, Francesco II d’Asburgo aveva rinunciato formalmente al titolo di
Sacro Romano Imperatore. Quello stesso 1807 il brindisi di Tilsit tra Napole-
one e Alessandro I, zar dell’Impero russo, lasciò intravedere una pace europea
durevole, all’insegna della spartizione delle aree di influenza. Giuseppe, Luigi e
Gerolamo Bonaparte, fratelli di Napoleone, in quel torno di mesi ebbero corone
(Napoli e poi Spagna, Paesi Bassi, Westfalia), come poi Gioacchino Murat, suo
cognato, re di Napoli. Dal maggio 1805 il figlio adottivo dell’imperatore, Eu-
genio Beauharnais, era viceré d’Italia. I Savoia erano isolati in Sardegna: Carlo
Emanuele IV coltivava pratiche religiose; i suoi fratelli, Vittorio Emanuele e
Carlo Felice, non avevano discendenti maschi. Dunque, nel 1807 nulla lasciava
supporre (né era scritto in alcun libro del destino) che, appena sette-otto anni
dopo, l’Impero dei Francesi sarebbe crollato e che, due volte nella polvere, Na-
poleone sarebbe stato relegato a Sant’Elena. A Nizza, occupata dalle truppe agli
ordini del generale Anselme sin dal1792, negli anni tra il 1807 e il 814 nessuno
aveva motivo di credere che la città sarebbe tornata al regno di Sardegna. La
personalità nizzarda di spicco era André Massena (1758-1817). Asceso da umili
origini a comandante generale dell’Armata d’Italia dopo la vittoria di Marengo
(giugno 1800), Massena fu decisivo nella campagna per cacciare Ferdinando IV
di Borbone da Napoli. Creato duca di Rivoli, maresciallo dell’Impero, fu fedele
a Napoleone anche nei cento giorni. Non meno famoso, anzi leggendario, era il
capitan Bavastro, massone.
Nelle Memorie Garibaldi non ne parla, ma v’è motivo di domandarsi che cosa
abbia pensato del proprio futuro sino al maggio 1814, che segnò il ritorno dei
Savoia negli antichi Stati di Terraferma. Scrisse invece di non aver avuto abba-
stanza discernimento, nell’infanzia, da intuire le future relazioni con gli inglesi
e di studiarne quindi la lingua col suo secondo maestro, “il padre Giaume, prete
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spregiudicato e versatissimo nella bella lingua di Byron” . In quegli anni egli
usò la parlata nizzarda, l’italiano e il francese: lingua obbligatoria, quest’ultima,
per chiunque aspirasse a un pubblico impiego nei confini dell’impero e del resto
indispensabile per chi viveva in una città portuale da quasi vent’anni dominata
da Parigi.
Con la restaurazione, Vittorio Emanuele I di Savoia, re di Sardegna, recuperò
Nizza e acquisì l’antica repubblica ligure: un ingrandimento propiziato soprat-
tutto da Alessandro di Russia e destinato a modificare le priorità nelle relazioni
commerciali fra Torino e il mare. Porti un tempo di primaria importanza per lo
Stato sabaudo passarono in seconda fila. Fu il caso di Nizza, nettamente retro-
2 G. Garibaldi, Memorie, a cura di Daniele Ponchiroli, Torino, Einaudi, 1975, p.6.