Page 150 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            cessa agli occhi di Torino a confronto di Genova e, sotto il profilo militare, di La
            Spezia. La Francia e la lingua francese continuarono perciò a essere fondamen-
            tali negli orizzonti del giovane Garibaldi.
               Il suo primo significativo incontro con la “politica” avvenne quando salpò da
            Marsiglia, capitano in seconda della “Clorinda”, e conobbe Emile Barrault che
            andava a predicare il suo evangelo nel Mediterraneo orientate. Da quell’Apostolo
            (come gli piacque ricordarlo nelle Memorie, forse proprio per far sapere di non
            considerare Mazzini altrettanto importante per la sua conversione e formazione)
            apprese i rudimenti del cristianesimo sociale di Claude-Henri de Saint-Simon,
            asse portante del suo utopismo, a metà strada fra riforma religiosa e innovazione
            di società e costumi. Meno sommario e ondivago di quanto gli sia stato e venga
            solitamente concesso, Garibaldi da Barrault apprese i capisaldi del pacifismo,
            della lotta per la libertà dei popoli e, al tempo stesso, la “religione dell’umanità”.
            Dopo la rivoluzione del luglio 1830 la Francia aveva ripreso il ruolo di fucina
            del pensiero politico europeo, con maggior influenza rispetto ad altre terre, quali
            la Germania, le cui lingue erano meno praticate. L’incontro con Barrault associò
            in Garibaldi il nome della Francia all’idea di rivolta ideale e, se necessario, di
            esilio: cardini dei suoi successivi quarant’anni. La Francia gli si prospettò quale
            terra generosamente dispensatrice di libertà ma anche di greve repressione. Le
            rese omaggio nel racconto del salvataggio del quattordicenne Joseph Rambaud,
            mentr’era imbarcato sul brigantino mercantile francese “Union” (che egli cita
            come “Unione”): un aneddoto evocato non a caso, bensì per evidenziare il suo
            rapporto di dare e avere con la Francia.
               Lasciata Genova dopo il fallito moto del febbraio 1834, Garibaldi non ebbe
            difficoltà ad acclimatarsi in Marsiglia: dapprima inoperoso, poi con ingaggi di
            navigazione alla volta del Mar Nero e di Tunisi, prima di salpare per Rio de Ja-
            neiro. Lì al francese e all’italiano, s’aggiunse il portoghese: la lingua di Anita, cui
            poi si rivolse in spagnolo appropriato, come si evince dalle lettere. Lo spagnolo
            divenne lingua d’uso per Garibaldi anche prima del trasferimento dal Rio Grande
            a Montevideo. Lo documenta il suo epistolario dagli anni 1837-38, a conferma
            della sua versatilità. Per l’esule il francese rimase però la lingua delle grandi
            ore: quella, per esempio, dell’affiliazione alla loggia massonica “Les Amis de la
            Patrie”, in cui venne regolarizzato il 18 agosto 1844, come poi attestò Adolphe
            Vaillant in un articolo pubblicato dal “Monde Maçonnique”, ripreso pari pari
            dalla “Rivista della massoneria italiana”. Se in spagnolo, mutuando un pensiero
            altrui, ripeteva che “la guerra es la verdadera vida del hombre”, in francese so-
            gnò la fratellanza e la pace universale, la “guerra alla guerra”, che era la faccia
            positiva della sua bellicosità.
               L’iniziazione in loggia non fu episodio occasionale. Ne segnò l’ingresso in una
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