Page 152 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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152 CISM - ACtA del Convegno nAzIonAle dI StorIA MIlItAre - roM A 10 ottobre 2007
principe-presidente Luigi Napoleone a restaurare Pio IX (1849), Garibaldi si mi-
surò con militari francesi che non elevò mai a vera espressione della loro terra.
Malgrado tutto, anche in quei mesi ai suoi occhi la Francia rimase culla delle
libertà e della democrazia. Già nell’America meridionale non aveva mai identifi-
cato la parte con il tutto, i soldati nemici con un popolo intero o uno Stato, tanto
più per le condizioni magmatiche dei Paesi sorgenti dagli ex imperi coloniali.
Del pari nel 1849 Garibaldi ebbe chiaro che i “Gallo-Frati del cardinale Oudi-
not” (come sprezzantemente scrisse ad Anita il 21 giugno) non rappresentavano
la patria dei diritti dell’uomo e del cittadino; essi spingevano però a sentire più
vivo 1’orgoglio della propria identità: “Un’ora della nostra vita in Roma - egli
scrisse - vale un secolo di vita!! Felice mia madre! d’avermi partorito in un’epoca
così bella per l’Italia”.
Malgrado sospettasse che fosse il governo francese a vietargli di dimorare
a Tunisi (“La sympathie française” scrisse sarcasticamente dalla Maddalena a
Giambattista Cuneo il 14 ottobre 1849), mentre consumava il tempo tra pesca
e caccia, prima in quel lembo di Sardegna, poi sparando ai conigli sull’Atlante
di Tangeri, ospite di Giovan Battista Carpanetti, console generate del Regno di
Sardegna, quando tornò a meditare sui mesi dal rientro in Italia al crollo della
Repubblica romana, dal tentativo di raggiungere Venezia alla trafila e al nuovo
forzato esilio, Garibaldi concentrò la sua animosità contro gli “austriaci”: il vero
“nemico storico”, la causa suprema dei guai degli italiani e dell’immobilità cui
era condannata la diplomazia europea dopo la repentina sfioritura della primave-
ra dei popoli dall’Ungheria alla Sicilia. La Francia rimase sullo sfondo.
Sulla fine della vita, affaticato dagli acciacchi ma sempre vigile, Giuseppe
Garibaldi ammonì che occorreva “governare meglio o cadere”. Dall’affiliazione
alla Giovine Italia all’impresa dei Mille, i capisaldi del suo programma per l’Ita-
lia furono unità e indipendenza. Come nell’America meridionale la nascita delle
repubbliche libere avrebbe dovuto segnare la fine del dominio conservatore, così
l’unificazione italiana doveva fare da modello per i movimenti nazionali di Un-
gheria, Polonia e dei «popoli oppressi» d’Europa.
“Libertad para todos y si no es para todos no es libertad” rimase la sua
divisa: criterio politico, dunque, non condizionato da teoriche sui sistemi istitu-
zionali né da dottrine sociali. Per attuarlo Garibaldi seguì e predicò un’unica via:
“organizzare”. Dichiaratamente contrario alla divisione del movimento naziona-
le in partiti, fallito il moto milanese del febbraio 1853, respinse “l’impudenza di
promotori d’insurrezioni che lo volevano con loro [suo] malgrado” e si propose,
invece, di “gettare il [suo] granellino nell’edificio italiano” .
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5 A Lorenzo Valerio, da Nizza, 9 novembre 1854, in EN, III, p. 118.