Page 156 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            stare sulla breccia sinché l’Italia non sia libera.”  Non era una dedizione senza
            ritorno. “Or dimmi - avrebbe infatti rampognato in un sonetto A Vittorio Ema-
            nuele - hai tu dell’Italo fidente appagata la speme? e le proterve/ dei suoi tiranni
            soldatesche hai spente?/ Birri un dì noi vedemmo, e genti serve/ su questa afflitta
            terra, e fatalmente/ di servi e birri noi vediam caterve.”  13
               Non si può invece dire che Garibaldi sia stato politicamente «ingannato» dal-
            la monarchia, se il 1° novembre 1859 scriveva al re da Modena: “Certo l’onore
            grandissimo dell’amicizia sua è cosa che molti non mi perdonano e che mi procu-
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            rerà altri rimproveri quantunque io faccia il possibile perché ciò non succeda”.
            Difatti Mazzini non perdonava a Garibaldi di decidere da sé momenti e modi di
            convergenza con il re di Sardegna. Sull’altro versante Cavour trovava insoppor-
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            tabile che Garibaldi, antibonapartista feroce  , dopo Villafranca comprendesse le
            ragioni del re e del “fosco figlio di Ortensia” con realismo superiore al suo: e quel


            12  Archivio Reale, Cascais, ora in EN, IV: «Bisogna che Minghetti governi Bologna, e non
               Cipriani – suggerì Garibaldi nella stessa lettera - e subito. Ricasoli deve ricevere ordini
               dittatoriali da V.M. e deve dare cinquanta mila soldati prima della primavera. Farini fa
               bene e merita una parola di plauso (...). In caso che V.M. trovi a proposito di non coman-
               dare ancora in Italia facci dare i poteri straordinari a Fanti. Cialdini starebbe bene al Mi-
               nistero della Guerra ora, per ritornare poi nell’Esercito. Soprattutto nettare il Ministero da
               tutta quella gente del vecchio sistema. Appoggi V.M. una sottoscrizione per un millione di
               fucili.» (sulla quale cfr. A. Luzio, Il milione di fucili e la spedizione dei Mille, cit., pp.72-
               156, ove si afferma che anche molti democratici piemontesi, raccolti attorno a Valerio,
               propendevano per un breve periodo “dittatoriale” (pp. 82-83), del resto attuato nei fatti
               col governo Rattazzi-Lamarmora, che impresse un’orma durevole in alcuni settori chiave
               del nascente Regno d’Italia: amministrazioni locali (subordinate all’ordinamento prefet-
               tizio), esercito, scuola. L’8 agosto 1959, da Lovere, Garibaldi incoraggiò Giuseppe La
               Farina: «Non approvo però la vostra non accettazione del timone, nelle cose di Romagna.
               La vostra modestia è certamente un pregiudizio per la causa, e tutti vi avressimo veduto
               volentieri capitanare quella parte importante del nostro paese. Io credo, come voi, che le
               cose nostre non van male; ma la situazione è delicatissima e gli uomini di cuore devono
               serrarsi attorno al vessillo rigeneratore e puntellarlo con mano di bronzo.»
            13  In G.Garibaldi, Poema autobiografico, pp. 281-282.
            14  Archivio Reale Cascais, ora in E, IV. Anche a Cavour, peraltro, Garibaldi aveva prospet-
               tato l’opportunità di assumere poteri dittatoriali, come attestò E. Guastalla, Biografia di
               Giuseppe Garibaldi, in Il Risorgimento italiano, a cura di Leone Carpi, Milano, Vallardi,
               IV, s.a., pp. 115 sgg.
            15  L’avversione  garibaldina  per  Napoleone  fu  tuttavia  discontinua,  strettamente  subordi-
               nata alla negatività delle interferenze dell’ imperatore nelle vicende italiane, e divenne
               più aspra dopo Mentana, quando Garibaldi non perdette occasione per manifestarla. Per
               esempio, in Cantoni, il volontario elencò i grandi italiani (Dante, Doria, Montecuccoli,
               ecc.) sino a Napoleone I, il “gran zio del piccolo bastardo”.
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