Page 161 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale

            to di terre e di genti compatibile con la mentalità sconfitta nel 1870. Se voleva
            ergersi a interprete del mondo nuovo, rigenerato dagli ideali di democrazia, la
            Terza Repubblica doveva acconsentire di elevare Nizza a città libera, sede del co-
            stituendo tribunale internazionale per la soluzione obbligatoria pattizia dei con-
            flitti interstatuali: il confronto pacifico, sciolto dai lacci di garbugli diplomatici
            segreti e inconfessabili, di alleanze e contro alleanze rispondenti ad appetiti dei
            potenti, avrebbe aperto nei fatti 1’età della pace universale perpetua, invocata nel
            congresso di Ginevra del settembre 1867.
               Non se ne fece nulla. Se avesse messo in discussione i confini esistenti, il
            regno d’Italia avrebbe indebolito ancor più la fragile repubblica di Francia, ina-
            sprendone le componenti, reazionarie, intrise di nazionalismo, a tutto vantaggio
            di un conflitto che I’Europa aveva interesse a ricomporre prima possibile e al
            costo politico minore, perché, come presto si vide, ne stava scaturendo una nuova
            rivoluzione dagli sbocchi imprevedibili: quella dell’Internazionale, che si impo-
            se in Parigi con la Commune, primo esperimento di governo “proletario” e poi
            mitico “modello” della rivoluzione socialista nel Novecento.

               Allo  smacco  politico,  imprevisto  e  sconcertante,  Garibaldi  rispose  pacata-
            mente. Nelle Memorie, cui tornò subito a porre mano, quasi volesse prendere
            a quel modo il necessario distacco da eventi piccini, il Generale scrisse che 1’8
            febbraio 1871 aveva deciso di recarsi a Bordeaux “con l’unico intento di portare
            il suo voto all’infelice Repubblica”. Constatato di non avere alcun potere nel pa-
            ese ch’era andato “a servire nella sciagura”, raggiunse Marsiglia e di là Caprera,
            ove giunse il 16 febbraio 1871.
               Era un uomo finito? Niente affatto. Riprese antichi progetti di colonizzazione
            agraria della Sardegna, tornò a occuparsi di istruzione elementare, di educazione
            fisica, di tiro a segno, di navi portatorpedini e di riforme politiche: il suffra-
            gio universale, anzitutto, il voto femminile (previa scolarizzazione per sottrarre
            le donne all’influenza del clero, da lui giudicata nefasta). Immerso nei ricordi,
            in parte li sublimò nei romanzi, in parte li consegnò alla redazione definitiva
            delle Memorie, la cui prefazione datò 3-4 luglio 1872: giorno memoriale della
            dichiarazione d’indipendenza della Nuova Inghilterra, profezia degli Stati Uniti
            d’America. “Oggi entro ne’ miei 65 anni - vi scrisse - ed avendo creduto per la
            maggior parte della mia vita ad un miglioramento umano, sono amareggiato nel
            veder tanti malanni e tanta corruzione in questo sedicente secolo civile (...)”. Tra
            le cause profonde della sua delusione v’era la catastrofe della Commune e il con-
            seguente crepuscolo della Francia quale Paese depositario della missione civile,
            faro pedagogico per i popoli in cerca di libertà, indipendenza, giustizia sociale.
               Il 14 novembre 1871 Garibaldi dichiarò a Giorgio Pallavicino Trivulzio la sua
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