Page 158 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            quelle catastrofi Garibaldi non si sentì tradito dalla corona. Sapeva che il governo
            e i moderati erano costretti alla loro parte. Semmai furono alcune componenti
            della Sinistra, nell’ora dell’azione, a far prevalere le dispute dottrinarie sull’in-
            teresse generale, con una condotta molto diversa da quella adottata da Garibaldi
            nella decisione di approvare la Convenzione del settembre 1864 tra il Regno e
            Napoleone III che puntellava il fatiscente potere temporale della Chiesa.  18
               L’obiettivo garibaldino di quegli anni rimase politico, pur aperto a forze ani-
            mate da motivazioni sociali, espresse nelle leghe e fratellanze operaie lambite
            dalla predicazione internazionalista di Michail Bakunin.
               Gli anni successivi alla catastrofe di Mentana (ottobre-novembre 1867) fu-
            rono per Garibaldi di solitudine, di malinconie, di lutti. Era parimenti lontano
            dall’Italia del governo Menabrea, come dalla Francia che rimaneva sotto il giogo
            di Napoleone III. Anche la sua vita quotidiana era impastata di amarezze. Ringra-
            ziava gli amici per i doni che gl’inviavano: riso, formaggio, salami, patate, vino,
            stivali con la doppia suola per consentirgli di trascinarsi claudicante qualche me-
            tro lontano da casa, sorreggendosi alle grucce.
               Tentò invano di pubblicare i suoi primi romanzi. Se ne riprometteva non tanto
            un illusorio successo letterario quanto un ragionevole beneficio economico, la
            cui urgenza lo assillava. Sua figlia Teresita, madre di numerosissima prole, e il
            genero Stefano Canzio, più impulsivo che politico saggio, campavano nell’indi-
            genza. Quando Stefano venne arrestato per reati politici, Garibaldi invitò la figlia
            a raggiungerlo con i bambini. Promise almeno una minestra: poca, ma per tutti.
               Per Garibaldi che cos’era in quegli anni la “politica”? che cosa gli rappresen-
            tava la Francia? Benché angosciato dalla sorte dei volontari caduti sotto il fuoco
            degli chassepots o che, feriti, languivano nelle prigioni dell’odiato “papa-re”, in
            quei tempi bersaglio di acri invettive culminate nella formula famigerata (“un
            metro cubo di letame”: dovuta invero alla mano del suo segretario, Giovanni









            18  Alessandro Bixio a Ludovico Frapolli, Parigi, 28 settembre 1864: “Apprendo con piacere
               che il partito avanzato, piegandosi alla parola d’ordine di Garibaldi, ha deciso di votare la
               convenzione in Parlamento. È un nuovo servizio che Garibaldi avrà reso all’Italia e non
               sarà il minore. Solamente bisogna essere conseguenti e non criticare. Un trattato e una
               transazione, in cui ciascuno abbandona qualche cosa di ciò che ritiene un suo diritto. Se il
               Parlamento avrà il senso politico, esso voterà la convenzione senza discussione, e dispen-
               serà anche il governo dal prendere durante il dibattito degli impegni per la conservazione
               del potere temporale del ladro di bambini” (Carte Frapolli).
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