Page 159 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale
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Basso) , Garibaldi conservò equilibrio, capacità di osservazione e ferma spe-
ranza in un futuro migliore. Mentana era stata per lui peggio di una seconda
Aspromonte. Non gli aveva leso il corpo. L’aveva ferito nell’animo. Ma, scris-
se a Edgar Quinet il 7 gennaio 1868, Italia e Francia avevano guai in comune.
I democratici delle due “sorelle latine” dovevano risolverli insieme, d’intesa:
“Que nos amis de France et du monde soient tranquilles: nous recommencerons
la besogne”. Lo ribadì il 17 maggio a Charles Louis Chassin: «Le democrazie
francesi ed italiane debbono camminare dandosi la mano verso 1’emancipazione
del diritto e della coscienza. Uniti raggiungeremo lo scopo». A Louis Blanc il 19
gennaio 1869 affermò: «Chi distrusse la libertà romana (nel 1849 NdA), non fu
la democrazia francese. Non si può essere repubblicani e commettere atti disone-
sti. Egli ben sa, colui che annegò la libertà francese nel sangue dei figli di Parigi.
E noi italiani sappiamo distinguere tra lui e il nobile popolo, come noi ingannato
e come noi ardente di sottrarsi al suo contatto maledetto».
Ad Albert Baume il 7 settembre 1869, quando fervevano i preparativi del
Congresso Anticlericale di Napoli, promosso da Giuseppe Ricciardi in (ingenua)
risposta al Concilio ecumenico vaticano indetto da Pio IX per l’8 dicembre, sacro
all’Immacolata Concezione, Garibaldi tornò a insistere sul valore emblematico
della Francia: «(...)io preferisco a tutte queste ingannevoli formole, la sublime
creazione della Francia, la Ragione. E soprattutto uomini di scienza per inse-
gnare la verità»: guardava la Francia e vedeva 1’Italia; e invitava a sostituire i
santi dei «chercuti» con la «santissima carabina», grazie al cui uso gli italiani si
sarebbero assisi degnamente «al banchetto delle nazioni libere».
«Religione del Vero, religione di Dio» (non la superstizione dei preti di qual-
sivoglia religione, per lui tutti accomunati in un’unica implacabile accusa di
mendacio e nella severa condanna) erano i pilastri portanti della sua Speranza.
Ne scrisse a Ricciardi il 7 ottobre 1869. Aggiunse 1’appello alle «società» che lo
appellavano Fratello (cioè le diverse litigiose organizzazioni massoniche), «nella
certezza che più la parte colta, liberale e razionale della Nazione, sarà rappre-
sentata nell’Anticoncilio, di più lustro risplenderà la nostra patria, tra le sorelle
Nazioni del Mondo».
Non v’e traccia (ma la si può immaginare) dell’amarezza provata da Garibal-
di quando il gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Ludovico Frapolli, negò
l’adesione ufficiale della massoneria all’Anticoncilio di Napoli, declassato a
19 La lettera attribuita a Garibaldi (Caprera, 12 ottobre 1869) “agli amici e fratelli d’ar-
mi” comparve nel Diritto (23 ottobre) e riproposta in epistolario di Garibaldi, EN, XIII
(1868-1869), 2008, pp.280-82, ove si dice che trattasi di “copia”, senza ulteriori (ancor-
ché necessarie) informazioni sulla sua genuinità e attendibilità quale espressione autenti-
ca del pensiero di Garibaldi.