Page 162 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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162 CISM - ACtA del Convegno nAzIonAle dI StorIA MIlItAre - roM A 10 ottobre 2007
incolmabile distanza dai comunardi, dai petrolieri, dalla rivoluzione nata e spenta
nel sangue: “Io appartenevo all’Internazionale quando serviva le Repubbliche
del Rio Grande e di Montevideo, cioè molto prima di essersi costituita in Europa
tale società; ho fatto atto pubblico di appartenere alla stessa in Francia nell’ulti-
ma guerra”. La sua era però una internazionale libera dall’“amalgama informe
di monarchisti, di preti, e di soldatesca degna di servirli”, e anche dai “soliti
dottrinari”, dai “rivoluzionari di professione”. “Io - egli scrisse lapidariamente -
non tolero (sic) all’Internazionale (socialcomunista NdA), come non tollero alla
monarchia, le loro velleità antropofaghe. E dello stesso modo che manderei in
Gallera il Sig. Sella che studia tutta la vita il modo di estorquere la sussistenza
agli affamati per aumentar la lista civile, o pascere grassamente i vescovi, io vi
manderei pure gli archimandriti della Società in quistione, quando questi si osti-
nassero nei precetti: Guerra al Capitale, la proprietà è un furto, l’eredità un altro
furto e via dicendo”. 21
Al caos incalzante Garibaldi contrappose la ricetta antica: “E se dittatore una
volta, tu mi hai veduto mansueto ed umano, io sono ancora partitante della dit-
tatura onesta, che considero il solo antidoto a sradicar i cancri di questa società
corrotta, e forse mi vedresti allora uscire dalla mansuetudine abituale per rag-
giungere un risultato soddisfacente. Contro il Papa, io fui coi protestanti, senza
essere presbitero, metodista od altro. Contro i Sella, i Minghetti e C. io sarò an-
che col diavolo per combatterli”: ma senza cedere di un pollice agli errori e agli
orrori dei “comunisti”.
L’Europa, e non essa sola, non aveva più bisogno di andare a lezione da Ma-
rianne: la Francia che aveva sognato e per la cui libertà si era battuto non aveva
nulla da spartire né con quella della repressione dei comunardi, fucilati, incarce-
rati, deportati, né con quella dei traineurs de sabre che, sconfitti dai germanici,
si mostravano tracotanti e spietati nella guerra civile. Ora ciascun Paese doveva
saper trovare al proprio interno le energie per la “grande riforma” e “guarire la
piaga della miseria”.
Rivendicato il proprio cosmopolitismo, l’appartenenza alla Fratellanza tra i
popoli (senza concessioni ai nazionalismi delle litigiose associazioni massoni-
che), negli anni seguenti Garibaldi si pronunciò fermamente contro gli scioperi
che, seminando sfiducia e spingendo il governo a misure reazionarie, mettevano
a rischio la tenuta dello Stato unitario. In tale ottica ammonì a non porre la que-
stione istituzionale fra quelle urgenti: “I carpentieri potranno rattopparlo cotesto
putrido timone (la monarchia NdA) - si domandò il 13 agosto 1872 in una lettera
21 cit. in Aldo A. Mola, Garibaldi vivo. Antologia critica con documenti inediti, pref. di
Lelio Lagorio, Milano, Mazzotta, 1982, pp.108-110.