Page 166 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            era rivolto persino al Cancelliere dell’Impero germanico, Bismarck, invitandolo
            ad assumere la guida di un’Europa finalmente in pace. Da Napoli il 24 marzo
            1882 il Generale partì per Palermo che il 31 celebrò il VI centenario dei Vespri si-
            ciliani, con un’intonazione nuova, ispirata da un’onda di gallofobia incoraggiata
            dal governo e dai pentarchi, espressione della tradizione democratica. Garibaldi
            non sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima comparsa in una grande mani-
            festazione pubblica, non immaginava che a quel modo lasciava una sorta di testa-
            mento politico. La ruvida avversione antifrancese degli anni seguenti, condivisa
            da Agostino Depretis, da Francesco Crispi, il “secondo dei Mille” e persino dal
            prudente Giovanni Giolitti, ebbe la sua legittimazione in quella presenza di Ga-
            ribaldi a Palermo: pallido, immobile, lontano, sacro.
               Anche il suo fedele interprete, Giosuè Carducci, sentì bisogno di recuperare
            le radici della Francia eterna, della Francia amata dai democratici, per differen-
            ziarla da quella di Jules Ferry e dell’imperialismo che minacciava di precipitare
            l’Europa in nuovi conflitti. Lo fece con i dodici sonetti di Ça ira.
               Dal canto suo, quasi per presentimento, certo per sottrarsi alla spirale di odi
            nazionalistici, il 4 luglio 1878 Garibaldi già aveva scritto: “Io sono Nizzardo!
            Quindi non Italiano né Francese (...). Sono quindi Nizzardo e quando la giustizia
            nel mondo non sia più una parola vana l’indipendenza del mio paese nativo sarà
            riconosciuta ed invalidata la vendita di Nizza fatta da Casa Savoia a cui Nizza si
            aggregò ma non si vendette (...)”.
               La rivendicazione della piccola patria faceva tutt’uno con il programma di
            riforme necessarie a far crescere l’Italia: ampliamento del diritto di voto, elimi-
            nazione delle imposte indirette, dei dazi sui consumi, della tassa sulla macinazio-
            ne e sul sale, da sostituire con un’imposta diretta e progressiva, abolizione della
            pena di morte, emancipazione femminile, interventi a favore delle classi e delle
            regioni più povere furono infine il terreno d’incontro tra Garibaldi, le diverse
            componenti della democrazia radicale e la nuova generazione di uomini politici
            (Giovanni Giolitti, Giustino Fortunato, Leo Wollemborg, Alessandro Fortis...)
            impegnata nel trentennio successivo alla sua morte ad attuarne in larga misura il
            programma.
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