Page 183 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale

            dello Stato Maggiore Esercito nel 1983 (pp. 251). L’Autore è stato uno dei maggiori
            storici italiani, fondatore della disciplina della Storia dell’Europa orientale oggi inse-
            gnata in molte Università italiane e a lui sono debitore per avermi iniziato agli studi
            dei rapporti tra l’Italia e l’area danubiano-balcanica attraverso le carte e i documenti
            degli Addetti militari italiani, una documentazione che nei primi anni Settanta del XX
            secolo ho avuto l’opportunità di studiare grazie anche alla disponibilità e collabora-
            zione di quegli ufficiali che si sono avvicendati alla direzione dell’Ufficio Storico
            dell’Esercito. Una volta ancora, nella stesura di questa relazione, sono debitore al
            mio Maestro che tra i primi e senza retorica ha individuato la prospettiva europea del
            condottiero e dell’uomo politico Garibaldi.
               Altri hanno già sottolineato il ruolo di Garibaldi nelle vicende che vanno dalla
            sfortunata campagna dell’agosto 1848 a capo dei volontari lombardi raccoltisi tra
            Milano e Bergamo, l’epico contributo alla difesa della Repubblica romana nel 1849,
            la campagna del 1859 al comando dei Cacciatori delle Alpi, l’impresa dei Mille del
            1860 e la terza guerra di indipendenza del 1866. Giova ricordare che sono proprio
            queste vicende che fanno di Garibaldi uno dei personaggi risolutivi del processo uni-
            tario italiano che diviene un ‘modello’ per tutti quei popoli che sono alla ricerca del
            proprio riscatto nazionale. La ‘questione italiana’ dunque finisce per collegarsi ai
            problemi nazionali della media Europa dove il mosaico delle nazionalità si presenta
            estremamente più variegato e complesso, ma per poter rivendicare identità nazionale,
            libertà e indipendenza era necessario rompere quelle ‘cornici’ dinastiche che per se-
            coli avevano ‘imprigionato’ quei popoli negli Imperi plurinazionali - come l’Austria
            asburgica, la Turchia ottomana e, per i polacchi, la Russia zarista – e dunque disar-
            ticolare quel ‘sistema’ che le Grandi Potenze dopo il Congresso di Vienna del 1815
            avevano immaginato e preteso di preservare attraverso la repressione e la negazione
            delle nuove realtà sociali ed economiche ma anche per le opposte rivalità in politica
            estera.
               La così detta “questione d’Oriente”, che anima la politica internazionale fino alla
            prima guerra mondiale, ne costituisce uno dei maggiori esempi favorendo proprio
            quei processi di progressive autonomie che pure venivano formalmente negate. Nei
            Balcani al tradizionale conflitto austro-ottomano si era aggiunta la non irrilevante
            presenza russa che, a partire da Pietro il Grande (XVIII secolo), aveva assunto come
            motivo di ingerenza la protezione degli slavi ortodossi della penisola. Con quest’ul-
            teriore elemento dunque di destabilizzazione della realtà ottomana che aveva ter-
            minato la propria fase espansiva, soprattutto nel secolo XIX dopo ogni nuova crisi
            nei Balcani come nel Vicino Oriente, l’equilibrio tra le potenze europee di volta
            in volta si ristabilisce a danno del “grande malato” d’Europa, secondo la lapida-
            ria definizione bismarckiana. Era accaduto dopo la guerra di Crimea (1853-1856)
            quando con il Congresso di Parigi (1856) le potenze europee – con esclusione della
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