Page 26 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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                Ormai la fama di Garibaldi attraversava tutta l’America latina: egli non era più lo
            sconosciuto marinaio del 1836, ma un eroe leggendario, capace di imprese impossi-
            bili e rispettato anche dai suoi avversari.
                    Giunse il 1848, e il 12 gennaio, per la festa del re che compiva gli anni in
            quei giorni, Palermo insorse e cacciò i Borboni. Era il primo episodio di un anno di
            moti, di rivoluzioni e di guerre che avrebbero scosso l’Italia e l’Europa. Alle prime
                                                                                    (12)
            notizie, Garibaldi volle tornare. Partì il 15 aprile da Montevideo con 62 compagni
            sul brigantino sardo Bifronte, che il nizzardo avrebbe voluto ribattezzare esperanza.
            Apprese in Spagna, a quanto lui stesso racconta, “notizie tali da far impazzire uomini
            assai meno esaltati di noi”, e si gettò nella guerra. La sconfitta dell’esercito sardo lo
            rese disponibile per qualunque avventura. Chiamato da Palermo, partì da Genova il
            25 ottobre, ma interruppe il viaggio a Livorno per correre alla difesa di Roma.
                La fine della Repubblica Romana lo indusse a un estremo tentativo di raggiun-
            gere Venezia, che resisteva ancora. Si imbarcò a Cesenatico con i suoi e Anita già
            molto sofferente, ma la tartana e i bragozzi che li trasportavano furono scoperti da un
            brigantino avversario e il povero convoglio di barche venne accerchiato. Era l’alba
            del 2 agosto 1849: su 13 imbarcazioni, 9 furono catturate e 2 incendiate per rappre-
            saglia, ma Garibaldi riuscì a sfuggire a terra. Anita moriva e l’avventura finiva in un
            completo fallimento.
                Ben diversamente andò nel 1860. Nell’impresa dei Mille, le vicende marine fu-
            rono importanti. Conosciamo la strana e disorientante rotta seguita dalle due navi che
            sbarcarono le camicie rosse a Marsala. In effetti, il livello di rischio, se fosse stata
            incontrata una nave da guerra, era enorme, anche se per un caso simile era stato previ-
            sto un disperato tentativo di abbordaggio. Ben lo si vide a Marsala, dove il Piemonte
            e il Lombardo restarono in mano ai borbonici sopraggiunti, precludendo così ai ga-
            ribaldini la via della ritirata in caso di rovesci terrestri. Ma sappiamo che questi non
            vennero e che anzi, gli eventi successivi avrebbero giustificato in pieno l’esaltazione
            retorica dell’espérance di Ginevra che scrisse il 14 maggio “la follia della patria non
            ha meno potenza di ciò che si chiamava al tempo dell’eroismo cavalleresco la follia
            della Croce”.
                A Palermo, Garibaldi si dotò di una flotta mercantile, raccapezzata qua e là, so-
            prattutto in Francia e Inghilterra. Più di tutto lo preoccupava infatti il problema logi-
            stico, il flusso dei rinforzi e gli spostamenti dei suoi uomini lungo le coste dell’isola.
            Primo capo di questa Marina fu Salvatore Castiglia, cui venne conferito poi l’incarico
            di preparare una “flottiglia leggera” per violare lo stretto, che venne composta da 170
            barche da pesca per il trasporto degli uomini, accompagnate da 5 imbarcazioni arma-


            12  Pare che uno fosse indio. Cfr M. Milani, Sui compagni di Garibaldi nel suo viaggio di ritor-
               no in Italia (1848), in “Il Risorgimento”, XIII, 1961, pp. 157-61.
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